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Intervista a Gian Carlo Caselli
di Graziella Di Mambro
L’emergenza da coronavirus non ha sospeso né coperto tutto. E l’Italia è entrata nella pandemia con un carico di problemi suoi, specifici, per esempio la mafia e la corruzione che adesso pesano e che, comunque non si sono mai fermate. Ecco perché gli osservatori più attenti hanno cominciato da subito a lanciare l’allarme che proprio la criminalità organizzata potesse approfittare della situazione, in modo particolare degli aiuti economici legati all’emergenza. Ne abbiamo parlato con Gian Carlo Caselli, uno dei magistrati più noti e oggi Presidente onorario di Libera.

Lei è stato tra i primi a cogliere il rischio che le mafie potessero mettersi in gioco anche in questa emergenza. Fiuto? Esperienza?
Purtroppo è un rischio facile da cogliere, con un ragionamento che si articola in tre punti. Il primo: le mafie ogni giorno accumulano una barca di soldi grazie alle loro attività illecite (droga, rifiuti tossici, gioco d’azzardo, pizzo, usura, appalti truccati ….). Una liquidità che non conosce mai crisi. Questi soldi sporchi per poterseli godere le mafie li devono riciclare investendoli in attività di per se stesse normali. Riciclando riciclando, le mafie hanno costruito una potente economia parallela, una melma che si insinua dovunque. Con una fortissima tendenza a vampirizzare l’economia approfittano senza scrupoli delle disgrazie altrui (il dna del mafioso è lo stesso di uno sciacallo).

Secondo: quanto al coronavirus, é drammaticamente evidente che sta causando – oltre ai danni alla qualità della vita e alla sicurezza delle persone – uno shock economico-finanziario di proporzioni gigantesche: fatturati al minimo; cassa integrazione e altre doverose indennità in crescita esponenziale; onerosi bonus sociali per poter tirare avanti; debito pubblico faraonico; pil in caduta verticale, con la previsione che si arriverà a – 8, se non peggio.

Terzo: molte attività che la pandemia sta mettendo in ginocchio rischiano di chiudere o faranno una gran fatica a riprendere. Si aprono così nuove opportunità alle mafie. Uno scenario già di per sé cupo potrebbe persino tracimare in catastrofe. Ecco il rischio.

Di qui la necessità assoluta di giocare d’anticipo: sia realizzando al più presto aiuti massicci (i c.d. bazooka economici) sul piano nazionale ed europeo; sia pianificando per tempo forme efficaci di contrasto che incidano sul primo manifestarsi degli appetiti mafiosi.

Cosa pensa del giudizio dei tedeschi (alcuni)?
Alcuni tedeschi ragionano come il Candide di Voltaire e si illudono che la Germania sia immune da infiltrazioni mafiose. Non è così. E proprio in queste ore l’Europol si sta attivando in tutt’Europa (Germania compresa) perché i criminali – mafiosi per primi – “hanno colto rapidamente [ogni] opportunità per sfruttare la crisi adattando i loro metodi operativi o impegnandosi in nuove attività illegali”. La differenza fra l’Italia e quei tedeschi è che noi sappiamo bene che c’è la mafia e cerchiamo di combatterla, mentre loro preferiscono spesso far finta di niente e con la mafia ci convivono. Poi ci sono quelli (come il quotidiano Die Welt) che si esibiscono in performance di rara aridità intellettuale e morale, promuovendo – anche in tempi di Coronavirus – la tesi egoistica e abietta che la solidarietà deve cedere alla sovranità nazionale. Usando come “argomento” proprio la mafia, per cui non si dovrebbero versare all’Italia fondi per il sistema sociale e fiscale ma solo per quello sanitario. La dimostrazione che quando si è in guerra (frase ripetuta con tetra insistenza per la pandemia) la situazione può spingere a valutazioni nell’ottica di interessi legati ad appartenenze politiche o geografiche. “Nemico” può allora diventare – piuttosto che il virus – “l’altro” da noi.

L’agromafia si è fermata in questa quarantena. I camion con l’ortofrutta che sappiamo trasportano, in larga parte, anche droga hanno continuato a viaggiare...
Se per la polizia le priorità sono cambiate (essendovi purtroppo a causa del Covid 19 altro da fare: controllare, distanziare, trasportare bare in giro per l’Italia, aiutare ospedali e farmacie a ricevere materiali sanitari, sanificare strade ecc), per la mafia no. E allora è legittimo pensare che l’agromafia non si è fermata. Forse ha rallentato. Per ora.

Il caso del giornalista Salvo Palazzolo, le bombe, gli attentati ci dicono che quel mondo non conosce tregua. Come possiamo reagire? Basta il racconto giornalistico?
Il baricentro dei giornalisti coraggiosi come Palazzolo (più che sulle manifestazioni immediatamente percepibili come criminali) è situato soprattutto sul versante “grigio” delle attività economico/finanziarie delle mafie. Il lato più nascosto del potere mafioso, il nerbo, la spina dorsale di quel potere. Fare informazione di questo tipo significa diventare “scomodi”. Perché la “criminalità dei potenti” (mafia, corruzione, frodi elettorali) è intrecciata con segmenti della classe dirigente e della massoneria, e perciò ama il silenzio sui suoi affari. Il vero peccato per questa gente non è il male, ma raccontarlo. E chi lo racconta come Palazzolo perché ha la schiena dritta, rischia di essere considerato (spesso persino da alcuni colleghi) come una specie di “alieno”. Ora, è proprio l’isolamento che sovraespone. Per cui una delle tante cose da fare, forse la più importante, è mai accontentarsi della ipocrisia civile, mai subire e praticare, invece di spezzarlo, il giogo delle mediazioni e degli accomodamenti. In altre parole essere “vivi” e non indifferenti, nella vita civile e nella professione, accanto a chi rischia.

Tratto da: articolo21.org

Foto © Imagoeconomica

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