di Luca Tescaroli
Ieri è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Decreto legge dell’8 aprile 2020, n. 23, che ha prorogato, com’era giusto e auspicabile, la sospensione delle attività giudiziarie sino all’11 maggio 2020. La situazione sanitaria generale espone ancora a gravi rischi di contagio e propagazione del temibile virus Covid-19, pur intravedendosi alcuni segnali di miglioramento. Nel frattempo, le sedi giudiziarie si stanno attrezzando rapidamente, per l’espletamento delle attività permesse, in virtù degli strumenti informatici che permettono la partecipazione dei protagonisti mediante la videoconferenza forniti dal ministero della Giustizia, in modo da eliminare il rischio di contagio. Il rallentamento delle indagini preliminari e il congelamento, nel settore penale, di quasi tutti i processi, ivi compresi quelli con detenuti (pur consentiti, di fatto non vengono celebrati in quanto sono rari i casi nei quali gli imputati o i loro difensori lo chiedano) comporta uno stallo anche di tale fondamentale servizio per i cittadini, dal quale fuoriescono solo un grappolo di atti urgenti (udienze direttissime, di convalida arrestati e fermati). Ritengo che occorra ragionare già da ora su come poter smaltire velocemente il terreno perduto, con la speranza che, nell’arco di pochi mesi, la situazione rientri nella normalità. Io credo che una soluzione possa essere quella di rinunciare alla sospensione dei termini processuali nel periodo estivo, previsti dalla legge 7 ottobre 1969, n. 742, per poter lavorare quando gli uffici giudiziari sono “chiusi”.
Tratto da: Il Fatto Quotidiano
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