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di Ippolita Luzzo
Dall'intervista a Gaspare Mutolo al Premio speciale della Giuria a Venezia con il film di Franco Maresco

Ippolita: “La mafia non è più quella di una volta”. Potrei sottotitolare così, direttamente dalla Mostra del Cinema di Venezia, dove il film di Franco Maresco “La mafia non è più quella di una volta” ha vinto il premio speciale della Giuria. Prodotto da Rean Mazzone e Anna Vinci per Ila Palma, il film racconta la contaminazione e trasformazione del fenomeno mafioso, oggetto anche di argomento del libro di Anna Vinci Gaspare Mutolo – La mafia non lascia tempo (Chiarelettere).

Sono con il suo libro in mano – che verrà presentato a Palermo il 20 settembre – e sono qui con Anna Vinci a parlare di una narrazione nata dallo scandaglio nell’anima di un ex mafioso, ex braccio destra di Riina, storico dissociato (la sua dissociazione risale al 1992): Gaspare Mutolo, la memoria orale di Cosa Nostra.

Anna è una scrittrice che segue l’immaginario, o lo cerca nella realtà per meglio tentare di conoscerla. Ha indagato sulla P2 attraverso i diari segreti di Tina Anselmi, di cui è la biografa ufficiale, ha curato inchieste e documentari per la Rai.

A lei la parola affinché ci racconti come sia riuscita a incontrare Gaspare Mutolo e cosa l’abbia spinta a conoscerlo, a narrare la sua storia.

*

gaspare mutolo mfia non lascia tempoAnna Vinci: "Lo incontrai mentre era intervistato, sarebbe stato utilizzato come fonte nel film Belluscone di Maresco sempre prodotto da Ila Palma. All’inizio cominciando a frequentarlo volevo soprattutto conoscere lui e attraverso di lui la mafia ‘da dentro’. E così, nella prima stesura del libro pubblicato da Rizzoli nel 2013, raccontai gli avvenimenti, le concomitanze, l’ambiente e la famiglia che avevano portato Gaspare Mutolo, ragazzino nato nel 1940 a diventare soldato di Mafia. Oggi a distanza di qualche anno, dopo che il libro ha subito un blocco dalla Rizzoli, pochi mesi dopo la sua pubblicazione, si era bruciato un loro magazzino, è stato pubblicato di nuovo da Chiarelettere, e ho aggiunto un’appendice dal titolo credo significativo: Nella mente di un killer di Mafia”.

Ippolita: "L’appendice ci riporta ad una domanda spesso ripetuta da te a Gaspare Mutolo, nel tentativo di capire di più su come sia possibile scindere gesti e delitti fatti per commissione. Gaspare Mutolo era un killer, dalla persona che ora lui è diventato. Il delitto diventa l’esecuzione di un ordine, lui è un soldato che rispetta gli ordini e le vittime quasi non esistono. Certo, racconta che le vittime lo riconoscevano e vedendolo arrivare già sapevano, infatti alcuni lo imploravano di avere pietà e altri lo fissavano terrorizzati. Ma era solo l’esecuzione di un ordine. Il killer è un soldato e non deve sbagliare, come in guerra. Infatti Anna tu non riesci a farlo spostare su un piano diverso. Cosa avresti in realtà voluto raggiungere con le tue domande?”.

Anna Vinci: “Vorrei, prima di rispondere alla tua domanda, fare una premessa. La mia ‘indagine’ nella mente di Mutolo, non è solo volta a capire i meccanismi mentali di un ex soldato di mafia. Scrivendo la prima parte del libro anni fa, intuii che alcuni elementi psicologici del mafioso, rimandavano a quelli che erano modi di agire, e quindi di pensare, che ritrovavo diciamo tra le persone della classe dirigente e non solo. Oggi, dopo l’esperienza passata, conoscendolo meglio, e avendo imparato pur nella diversità delle nostre storie a rispettarci, mi sono permessa di incalzarlo, e le mie intuizioni si sono rilevate vere. Ho colto elementi che sono purtroppo emblematici della nostra società, salvo, certo, non sporcarsi di sangue. Sinteticamente, sono questi: una forte auto referenzialità; un rapporto mediato con la realtà, tipo il Ciccio Mira del film di Maresco, per cui non si vede la realtà ma quella che la nostra prigione mentale ci fa vedere. Ultimo e non meno importante: la mancanza dell’assunzione su di sé del senso di colpa. La colpa sfuma nella responsabilità nel migliore dei casi, nella casualità, e peggio ancora nell’altrui responsabilità. Stretti tra offesa e lamento. Ecco forse ho avuto da Mutolo le risposte che cercavo… E ho accettato le sue risposte a metà, il suo racconto del percorso di avvicinamento alla fede – soprattutto dopo la morte della moglie Santina tre anni fa – senza tuttavia mettere in discussione i suoi ‘errori’, se non riconoscerli come tali. E il riferimento alla pittura come elemento di elaborazione inconscia delle sue ombre. Come dice lui parlando del passato: ‘Restano i rimpianti, il resto lo metto nella pittura’. Sul resto, fuori della tela, resta il silenzio alle mie domande incalzanti sulla colpa. Una parola difficile da declinare, per tutti”.

Ippolita: “Unendo in un discorso ideale il film di Franco Maresco, “La mafia non è più quella di una volta” e le risposte di Gaspare Mutolo si nota l’abitudine a considerare normale ciò che normale non è, a vivere nel chiuso di quartieri e conoscenze con il gusto di avere grande potenza, come se quello che si sta facendo avesse un senso. Sembra un mondo capovolto, un mondo dove anche principi sono stravolti e snaturati, basti pensare al concetto di onore, alla parola fiducia, o alla politica, la parola più mistificata. Ed anche coloro che combatterono la mafia morendo sono ora usati per mascherare strani giorni. È possibile una lettura simile di questa trasformazione nella mafia? E la mafia ancora adesso non lascia tempo? Voglio ricordare il grido di allarme di Nino Di Matteo procuratore di Palermo recentemente sui giornali”.

vinci rean palco venezia 2019 maresco

Anna Vinci: “Sì, la mafia non lascia tempo, la vita non lascia tempo. Il tempo perduto non si ritrova se non nella letteratura. Essere incalzati porta fretta e la fretta genera confusione e come diceva Tina Anselmi: ‘bisogna avere calma per comporre il puzzle. Tutti i tasselli’. Lei era esperta di tasselli mancanti. Per tentare di approfondire e rispondere con più chiarezza alle tue domande, tenendo presente quel grido di una bella persona come Nino Di Matteo, al quale accennavi, voglio rifarmi a una mia domanda a Mutolo. ‘Non hai pentimenti per le persone ammazzate? O almeno dolore ripensando a certi spasmi di morte?’ [n.d.a non dimentichiamoci che molti degli omicidi di Mutolo erano strangolamenti] Ed ecco la risposta sulla quale poi mi soffermerò. ‘Quella era la vita nostra e dei nostri vicini, uomini di Cosa Nostra, famiglie di mafiosi’. E non trovi una similitudine tra questo stare sempre tra simili, stessi pensieri, stesse emozioni, fuori gli altri, con quello che sta sempre più accadendo nel nostro Paese? Che cosa è la Casta? Che cos’è questo mondo claustrofobico dove sempre gli stessi parlano, rispondono ad altri simili. Per non parlare delle offese, dell’ossessione, dell’odio dell’altro. Per giungere allo squallore della manifestazione di Pontida – uso volutamente la parola ‘squallore’, non me ne viene altra –, quanti smarrimenti, quanta sciatteria nel condurre la Cosa Pubblica, quanti giochi sottobanco, quanto tempo perduto! E quanti pochi sguardi di donne. Uomini e ancora uomini come appunto nella mafia e nella massoneria. Diceva Tina Anselmi: ‘Bisogna aprire le stanze del potere far entrare aria’. Sottolineo ‘squallido’, manca la parola squallido.”

Ippolita: “Mi trovo accanto a te, Anna, e a Tina, così come credo moltissimi potranno ritrovarsi nel tuo stesso smarrimento di essere ancora qui a distanza di tanti anni a dover essere impotenti davanti al grido di allarme di Nino Di Matteo, su come tanti apparati dello Stato abbiano modi di pensare simili a ciò che dovrebbero condannare, attuano gli stessi sistemi. E sembra un mondo nerissimo quel che c’è in questo primo ventennio degli anni duemila se non ci fosse con noi una costante ironia e un disincanto che da Maresco e da Rean Mazzone ci riporta a Sciascia e insieme a Tina Anselmi e al suo vigilare. Quel suo monito mai dimenticato. Vorrei che tu in chiusura mi donassi la mano, quasi un abbraccio ai lettori, ad avere fiducia se non nella storia almeno nella letteratura. Come chiuderesti la nostra conversazione?”

 Anna Vinci: “Chiudendo con una risposta di Pier Paolo Pasolini a Enzo Biagi. Pasolini poeta regista e intellettuale, lascio fuori la sua vita privata. Biagi gli chiese che cosa era per lui la fede, lui rispose che era lo stupore davanti alla vita. Al miracolo della vita. Mi scuso se non ho usato le parole esatte, ma credo di aver inteso e riportato il concetto. Ecco mi ritrovo in questo stupore che hanno i bambini, gli artisti, certi vecchi, uomini e donne, persone belle, ce ne sono. Ne ho conosciute tante. E l’Italia, con loro, che non sono per forza alla ribalta, con la bellezza del suo passato, della natura, delle piazze, sta contrastando il degrado. Io ci credo. D’altronde, potrei non credere al futuro e quindi al presente con quattro nipotini, che sono la mia passione?”.

Tratto da: pangea.news

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