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travaglio marco c imagoeconomica 4di Marco Travaglio
Lo attendevamo con ansia, e finalmente il gran giorno è arrivato: il giorno della difesa del conflitto d’interessi da parte di chi l’aveva sempre denunciato. L’ingrato compito è toccato, su La Stampa, a Lucia Annunziata. Si parte, naturalmente, dal “bullismo dei 5Stelle” che, ispirati dall’empireo direttamente da Gianroberto Casaleggio, vorrebbero “distruggere i media tradizionali” (come se questi non ci pensassero già da soli), “smembrare i maggiori gruppi del Paese”, “abbatterli” e “smantellare l’editoria”. Tutto perché Di Maio ha annunciato una legge contro i conflitti d’interessi editoriali degli “editori impuri” che usano i mezzi d’informazione come merce di scambio per fare profitti in altri settori che confliggono con la libertà di stampa. L’Annunziata riconosce, bontà sua, che “il conflitto d’interessi è un tema serio”, ma purché non disturbi i suoi editori (le famiglie Elkann-De Benedetti, proprietarie col gruppo Gedi di Stampa, Repubblica, Espresso, Secolo XIX e varie testate locali). Infatti riesce a dire, restando seria, che “c’è anche in Italia una legge (sia pur morbida) che regola il rapporto fra editoria e interessi economici”.
Deve trattarsi di quella barzelletta della legge Frattini del 2004 che, insieme alla coetanea Gasparri per le tv, ha sempre fatto scompisciare il mondo intero e, fino all’altroieri, anche Repubblica, Espresso e Annunziata: una legge-selfie su misura per B. che, essendo solo il “mero proprietario” di Mediaset&C., non ha conflitti d’interessi. Una legge senza sanzioni, ma soprattutto senza colpevoli che, avallando il mega-conflitto del Caimano, avalla quelli medi e mini di tutti gli altri. Cioè degli editori impuri che producono un’informazione serva e falsaria. Ora si scopre, grazie all’autorevole penna dell’Annunziata, che quella norma-farsa magari sarà un po’ “morbida”, ma nessuno deve azzardarsi a riformarla, nemmeno se l’ha promesso agli elettori. Saranno contenti Frattini e B. per il tardivo riconoscimento dopo 14 anni di calunnie. Un po’ meno i lettori di Stampubblica, nello scoprire che i loro liberissimi giornali non solo si sono innamorati in tarda età della prescrizione solo perché a riformarla sono i 5Stelle. Ma difendono pure i conflitti d’interessi, perché quei barbari minacciano di punirli tutti, compresi quelli dei loro editori. L’Annunziata previene l’obiezione con una supercazzola: “Il caso Berlusconi ha provato a essere estremo non perché la legge non ci fosse a regolarlo, ma perché estremi erano gli intrecci fra proprietà e politica. E del resto la opposizione ha fatto di questo intreccio una battaglia”.
Cioè, se capiamo bene, il problema sarebbe che un giorno B. entrò in politica (quanto alla “battaglia” del centrosinistra, ci vien da ridere). Già, ma il conflitto d’interessi ce l’aveva anche prima. Già nel 1983, aggirando Montanelli, chiamò il condirettore del Giornale per raccomandare di non attaccare Craxi in quanto Bettino “deve farmi la legge sulle tv”. Idem la famiglia Angelucci, che ha il suo patriarca in Senato con FI, ma sarebbe in conflitto d’interessi anche senza, perché controlla Libero e il Tempo e fa soldi a palate con le cliniche private convenzionate con le Regioni. Se per decenni la Fiat ha incassato carrettate di miliardi dallo Stato in aiuti diretti, commesse pubbliche, cig straordinaria e rottamazioni, difficilmente La Stampa poteva mettersi contro i governi: infatti, come diceva Giovanni Agnelli sr., è stata per oltre un secolo “governativa per definizione” (salvo negli ultimi 5 mesi). Se il costruttore Caltagirone vive di appalti pubblici, qualcuno può pensare che la linea del Messaggero, del Mattino e del Gazzettino sui governi nazionali e locali non ne risenta? Infatti il suo gruppo ha sempre lisciato giunte e governi che assecondavano i suoi interessi; ha sempre beatificato tutte le opere pubbliche sparse nell’orbe terracqueo, tranne una, lo stadio della Roma (lo fa il suo rivale Parnasi); e i primi sindaci di Roma che ha massacrato sono stati Marino e la Raggi (vedi alla voce Olimpiadi). Se il Sole 24 Ore è di Confindustria, che affidabilità possono mai avere le sue pagine finanziarie o i suoi pezzi sul Tav? La stessa che hanno le pagine dell’auto de La Stampa, le recensioni del Giornale sui programmi di Mediaset e del Corriere sui programmi di La7 (medesimo editore: Cairo). La stessa che ha Repubblica sulla politica da quando s’è scoperto che Renzi aveva spifferato il decreto Banche popolari in anteprima a De Benedetti, consentendogli di specularci in Borsa e tirar su 600 mila euro in un minuto senza muovere un sopracciglio. L’unico editore puro prima dell’avvento del Fatto era il genovese Carlo Perrone col Secolo XIX, che però tre anni fa fu venduto agli Elkann.
Questi padroni di giornali non fanno direttamente politica, ma sono in conflitto d’interessi lo stesso. Il grosso del loro business non è l’editoria, ma gli autoveicoli, la finanza, le banche, le assicurazioni, le costruzioni, gli appalti pubblici. E i loro giornali sono ora bastoni per minacciare o punire chi non asseconda i loro affari, ora carote per premiare chi li agevola. E se i lettori se ne accorgono e fuggono, poco importa: molto meglio tenerseli e ripianarne ogni anno le perdite, che rinunciare a una preziosa arma di pressione e di ricatto sulla politica. Non sappiamo se Di Maio riuscirà a varare una buona legge contro i conflitti d’interessi che inquinano l’informazione in Italia, né se Salvini - il nuovo cocco dei giornali - glielo consentirà. Ma sappiamo che, come già sul Tav e sulla prescrizione, ha toccato una delle metastasi del cancro italiano: una classe dirigente che campa da sempre di soldi pubblici e di impunità; e la stampa al seguito, che più rivendica la sua libertà e più difende la sua servitù.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano del 16 novembre 2018

Foto © Imagoeconomica

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