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di battista di maio c imagoeconomicadi Antonio Padellaro
Detto che sul conto della sindaca di Roma, Virginia Raggi, giornali e giornalisti hanno scritto qualsiasi mascalzonata (nel silenzio pressoché totale di quanti ogni giorno impartiscono lezioni di etica, deontologia e bon ton un tanto al chilo), ci sono molte ragioni per considerare oltre tutto scriteriata l’insultante campagna dei Cinquestelle contro i “pennivendoli puttane” (copyright Di Maio-Di Battista).
Perché nel giorno in cui la suddetta Raggi esce assolta dal lungo calvario giudiziario, ecco che un minuto dopo la sentenza si pensa bene di spostare il faro sull’informazione brutta, sporca e cattiva. Con il risultato che nessuno parla più del sindaco innocente mentre tutti stanno a guardare la rissa tra chi offende e chi si offende. Due ipotesi al riguardo. La sindaca viene comunque considerata un problema per il Movimento, e dunque meno se ne parla meglio è. Oppure, quando si tratta dei focosi Di Maio e Di Battista la parola precede il pensiero (era già accaduto con l’impeachment di Mattarella, chiesto in diretta tv e ritirato il giorno dopo).
Perché l’attacco alla stampa meretrice da parte del M5S mostra evidenti analogie con la furia di Donald Trump che sbatte fuori dalla Casa Bianca i reporter sgraditi. La ricerca di un “nemico” è il cuore della narrazione populista. Ma prendersela con i giornali quando si perde la Camera dei rappresentanti, o quando i sondaggi vanno giù, non è un segno di forza ma mostra una palese difficoltà. Sul serio si pensa di ricompattare la propria gente, un po’ disorientata dalla vicenda Tap o dallo strapotere di Salvini, gridando puttana a qualcuno?
Perché, invece, Salvini con i giornalisti (e con gli editori) cerca di non attaccare briga. Anzi, manda bacioni a chi gli da del razzista, e mostra di non offendersi se lo sfottono sul come mai la Isoardi lo ha mollato. Sarà anche vero che “il gioco della stampa ora è esaltare la Lega e far vedere i M5S come degli appestati” (Di Maio). Ma la sostanza non cambia: di ciò che scrivono i giornali il Capitano semplicemente se ne frega. Come tutti gli apprendisti autocrati, lui parla direttamente con il popolo-pubblico, attraverso Facebook o Instagram. Una narrazione che non ha bisogno di intermediazioni, o di penne più o meno compiacenti. Tv e cronisti gli servono unicamente come testimoni dei bagni di folla, in un gioco di specchi che alimenta il consenso.
Perché è per lo meno bizzarro che mentre la carta stampata non se la passa affatto bene, tra cali di copie e crisi aziendali, siano proprio i vertici dei Cinquestelle a rianimarla con ingiurie e spintoni. È del tutto naturale, per esempio, che Repubblica chiami a raccolta il proprio lettorato, come avamposto della libertà di stampa sotto assedio. Senza contare che bollare come pennivendoli e puttane un’intera categoria (metodo tre palle un soldo) crea riprovazione e solidarietà anche da parte di chi non ama particolarmente i giornalisti (metodo martirologio).
Fa parecchio ridere che a strillare contro il governo gialloverde, “anticamera della dittatura”, sia Silvio Berlusconi. Anche se la dice lunga sul fuoco di sbarramento del centrodestra nel caso Di Maio e company procedessero con l’annunciata legge sul conflitto d’interessi. Quella per mettere fuori gioco gli editori “impuri” che detengono i giornali per farsi gli affari propri. Cari Cinquestelle, se davvero pensate che Salvini sarà lì a darvi una mano per tagliare il ramo su cui sta comodamente seduto, non avete capito niente.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano del 13 novembre 2018

Foto © Imagoeconomica

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