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di Attilio Bolzoni
Il movente è incerto però la morte è sicura. Fucilata con silenziatore incorporato, un ragazzo nero che non c’è più e non una parola - una sola parola - per ricordarlo, per raccontare e raccontarci cosa è accaduto laggiù, nella Calabria che non è nemmeno Calabria fra i fumi e i miasmi della tendopoli di San Ferdinando. La chiamano tendopoli ma - ci siamo stati tante volte, negli anni passati - è un girone dell’inferno riservato esclusivamente a quelli che arrivano dall’altro mondo, quelli che sono nulla e che sono nessuno.
Conosciamo a malapena il suo nome e la sua età, Soumayla Sacko, ventinove anni. Sappiamo che stava raccattando ferri per un riparo. Sappiamo che è stato ammazzato. Sappiamo tutto e niente. E, in queste ore, scopriamo che Soumayla è un altro “numero”, un incidente o un accidente, una “disgrazia”, un infortunio come un sinistro sul lavoro o un tamponamento stradale con vittime. Perché qualcuno nella nostra Italia dovrebbe parlare di questo ragazzo del Mali, perché il ministro dell’Interno Matteo Salvini (eletto in Senato proprio nel collegio di Rosarno, a un passo dalla tendopoli infame di San Ferdinando) o il ministro del Lavoro Luigi Di Maio dovrebbero sprecare fiato e tempo e fatica per quel bracciante di colore che forse rubava lamiere - ladro!!! - e che forse - ancora ladro!!! - chissà quante altre volte ha rubato qualcosa nei campi della Piana di Gioia Tauro dove una volta c’erano ulivi fantastici e dove poi gli amici e i complici della ’ndrangheta hanno piantato i kiwi sfregiando la natura per portare a casa qualche euro in più.
Questa fucilata che ha ammazzato Soumayla è una fucilata contro tutti noi. Contro i nostri principi, contro il nostro essere cittadini italiani, contro la nostra vita. Se i rappresentanti del nuovo governo non se ne sono accorti, se Salvini e Di Maio non hanno dato “importanza” a sufficienza a questo dramma che sembra lontano ma che è così vicino a noi tutti, significa che c’è una distanza troppo grande fra quello che si dice e quello che si fa, significa che i silenzi mostrano, scoprono i pensieri più intimi. La retorica nasconde sempre i fatti, gli spot taroccano la realtà, la morte violenta di Soumayla rivela paure e fa paura. Meglio tacere. Meglio far finta di niente. Meglio non aprire bocca.
Il presidente del Consiglio, il ministro dell’Interno e il ministro del Lavoro, hanno altro a cui pensare. Quel povero ragazzo del Mali che rubava ferri nella Piana di Gioia Tauro che c’entra con noi, Italia del 2018, anno del grande cambiamento?

Tratto da: La Repubblica

Foto © Ansa

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