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di Mario Fresa
Era la fine dell’estate del 1988 quando conobbi Mario Almerighi, nella sua stanza di giudice istruttore del Tribunale di Roma.
Ero un giudice ragazzino ai tempi di Francesco Cossiga, un uditore di 26 anni, timido e impacciato, con il timore di non essere all’altezza del difficile compito che avevo scelto di svolgere.
Mi apparve un uomo con la pipa, coperto dal fumo e dai fascicoli.
Fui subito affascinato da quel suo modo di fare eccentrico e dai pensieri fluenti ed eretici.
Mi fu subito chiaro che quell’uomo era il Fabrizio De André della magistratura.
Il poeta-cantautore, che narrava delle esigenze di legalità, genovese di nascita e sardo di adozione; Mario, il magistrato-poeta, sardo di nascita e genovese di adozione.
Una miscela esplosiva.
Entrambi, così vicini ai problemi del mondo, così attenti alla tutela dei deboli, dei poveri e degli emarginati.
Eh si. Perché è solo la luce della poesia che può illuminarci tutti i giorni nel rendere la Giustizia ad ogni cittadino, fosse anche l’ultimo, senza curarci se ciò possa irritare qualsivoglia potere.
E’ solo la luce della poesia che può darci la forza per continuare a svolgere questo splendido mestiere, senza speranza e senza paura, in una terra disgraziata e meravigliosa come questa, pensando e praticando in maniera laica, senza compromessi.
Due cose sentì il bisogno di comunicarmi sin dai primi giorni di tirocinio.
Aveva svolto a Genova un’inchiesta delicata nei primi anni ‘70, che gli valse l’appellativo di pretore d’assalto, il c.d. scandalo dei petroli, in cui aveva scoperto vent’anni prima di Mani Pulite la corruzione dilagante in Italia. “Il Parlamento si è svenduto le leggi agli arabi in cambio del petrolio”, era solito dire.
Molti anni dopo scrisse un libro sull’argomento.
Un noto parlamentare democristiano alla Camera, era il 1974, reagì mettendo in guardia, già allora, dal rischio del “governo dei pretori”. Seguì la richiesta di ben 56 deputati di modifica della composizione del CSM nel senso dell’aumento del numero dei componenti laici a discapito dei togati.
Vale a dire. Si voleva rendere il governo della magistratura meno autonomo e più governabile.
Al Consiglio superiore della magistratura, Mario, vi era stato eletto nel ‘76, giovanissimo. “Mi ha rovinato”, diceva ironicamente, in riferimento al fatto che non era più in grado di limitare il suo impegno di magistrato alla sola lettura delle carte processuali. Un magistrato credibile doveva alzare la testa dai fascicoli per guardare il mondo.
E la credibilità della giurisdizione tutta dinanzi ai cittadini passava e passa attraverso la credibilità del suo organo di governo autonomo, il CSM appunto.
Era solito dire che le garanzie giurisdizionali della Costituzione non erano un privilegio per i magistrati, ma erano un valore servente al valore fondamentale della Carta costituzionale, cioè al principio dell’eguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge. E, continuava Mario, se così è, non può esservi tutela della indipendenza e autonomia della magistratura senza corrispondente responsabilità da parte di chi deve assicurare a tutti i cittadini la giurisdizione.
Vale a dire. Le c.d. pratiche a tutela dei magistrati, da parte del CSM, e le sanzioni disciplinari, non sono altro che due facce della stessa medaglia.
Mario è stato il primo a denunciare la corruzione nella politica e a porre la questione morale nella magistratura. Oggi lo dicono tutti, ma dirlo nell’Italia di 30 anni fa era rivoluzionario, era eretico.
Mario ha passato una vita alla ricerca della verità nei suoi processi ed alla ricerca di una magistratura credibile, capace di essere amata e non odiata dai cittadini.
Così, sul versante dei processi, grazie al suo fiuto investigativo, unito ad una profonda cultura della giurisdizione, ha ottenuto risultati straordinari.
Indagava su un traffico di eroina a Fiumicino e riaprì l’inchiesta sulla morte di Roberto Calvi intuendo che si trattava di un omicidio e non di un suicidio.
Seguiva il sequestro Soffiantini e capì che l’agente dei Nocs Donatoni era stato ucciso dal fuoco amico, mentre la vicenda sembrava già definita in senso opposto.
Sul versante dell’associazionismo giudiziario, nell’88, fondò con Giovanni Falcone, Enrico Di Nicola ed altri colleghi di grandissimo spessore il Movimento per la Giustizia, con valori di fondo di grande rottura nella magistratura.
Vi aderii subito anch’io.
Chi non ricorda le sue battaglie per denunciare la Questione morale in magistratura, che fecero alzare la testa a tanti magistrati per uscire dal corporativismo e dalla politicizzazione strumentale?
Per uscire dalla logica del “a Frà che te serve?” di andreottiana memoria, che si riscontrava diffusamente anche in una categoria che quella logica avrebbe dovuto combattere. Ed a quella logica – è una mia amara considerazione – oggi si sta tornando.
Chi non ricorda le sue battaglie per l’ingresso della meritocrazia nelle valutazioni di professionalità, a discapito della logica dell’anzianità senza demerito, che consentiva, a quei tempi, ad un Antonino Meli di prevalere su un Giovanni Falcone per un prestigioso incarico direttivo a Palermo?
Chi non ricorda le sue battaglie per l’efficienza della Giustizia, intesa come servizio e non potere, e per il rispetto dei cittadini che attendono la decisione di un giudice?
Chi non ricorda il suo profondo convincimento che, in Italia, non servono tanto inutili riforme legislative, ma servono riforme più profonde che attraversino le coscienze degli uomini, sì da consentire, sempre, che ai principi enunciati seguano comportamenti coerenti?
Eh sì, quanto volte Mario mi ha detto, con la sua solita, inconfondibile ironia, di non seguirlo nei suoi principi perché mi avrebbe rovinato!
Ma oramai era tardi.
Ero intriso della cultura politica e giudiziaria di Mario.
E così, eletto al CSM nel 2006, ho seguito una sola stella polare, entrando più volte in conflitto con gli stessi miei elettori: la stella polare della coerenza.
Al punto che il complimento più bello, alla fine del mandato, lo ricevetti da un componente laico che mi disse: abbiamo dissentito tante volte, ma ho apprezzato in te la cocciuta coerenza.
Eh già, quella cocciuta coerenza – tipica di un sardo ed importata da un romano – che ha contraddistinto la vita di quel grand’uomo che è stato Mario Almerighi. Il complimento più grande che mi si potesse fare.
Quella cocciuta coerenza che lo ha portato a dire a tutti gli italiani, una volta eletto Presidente dell’ANM, quelle cose che era solito dire a me, nel chiuso della sua stanza d’ufficio e che, in un colpo solo, hanno determinato la reazione dei potentati di destra e di sinistra.
Io non credo che ci sia oggi modo più efficace per rappresentare in sintesi l’attualità del pensiero di Mario Almerighi che leggere la considerazione conclusiva di uno dei suoi bellissimi libri, “La storia si è fermata”, del 2014, che rappresenta anche il suo testamento politico:

“Il vento che oggi spira sul terreno della Giustizia è vento prodromico di tempesta. Se la tematica giustizia/politica è da tempo così calda nel nostro Paese, ciò dipende, in buona misura, dalla particolare acutezza del conflitto sociale, dallo sviluppo distorto del Paese, dall’inadempimento del complessivo dettato costituzionale, dall’accentuato livello politico delle materie oggetto d’intervento giudiziario. Il rilievo politico dell’intervento giudiziario è, in sostanza, un riflesso, un effetto e non la causa, di questa situazione.

Ritengo che l’analisi (…) che determinò la nascita del Movimento sia oggi più pertinente di quanto non lo fosse dieci anni fa.

(…) Senza il riferimento a grandi opzioni di valori e a idealità è impossibile uscire dalla strettoia della mera rappresentanza d’interessi, dalla frantumazione e dalla contrapposizione corporativa, dal terreno degli egoismi e dell’anonima conflittualità generale, del tutti contro tutti. L’esigenza di sollevare il coperchio su quella che ritengo sia l’avvilente realtà nella quale si è impantanata la magistratura associata nasce dalla convinzione che solo attraverso un bagno di umiltà e di forte carica autocritica essa possa venir fuori dal buio tunnel nel quale oggi si trova, fare tesoro degli errori commessi ed imboccare una nuova strada che le consenta di poter fronteggiare i gravi pericoli incombenti sulla vita della nostra democrazia connessi ad una giustizia fatiscente e non credibile”.

Grazie Mario, per aver regalato la luce di un po’ di poesia alle oscure tenebre del diritto!!

Grazie Mario per aver contribuito a fare la storia di questo Paese!!

*Pubblichiamo l’intervento del Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione alla giornata di studio in ricordo di Mario Almerighi

Tratto da: liberainformazione.org

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