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riina maria concetta c ansadi Salvo Palazzolo
Dopo la morte del padre aveva minacciato di denunciare i giornalisti, ora invece rilascia una intervista alle Iene, che è piena di messaggi in codice. Perché in questi giorni sono successe cose delicate in casa Riina. E c’era bisogno di ribadire alcuni concetti

Che succede in casa Riina? Fino a qualche giorno fa, la figlia del capo dei capi, Maria Concetta, minacciava addirittura di denunciare i giornalisti che le chiedevano un commento, dopo la morte del padre. Diceva: “Non posso parlare, ho dei figli minori da tutelare, tre bambini piccoli che vedono la foto della madre sui giornali”. Adesso, invece, rilascia un’intervista alle “Iene”. Che succede in casa Riina? Dopo la morte del capo dei capi, si è verificato un grosso imprevisto in famiglia: il figlio maschio, “l’erede”, è stato accusato dalla procura di Venezia di essere un cocainomane e di aver violato gli obblighi della libertà vigilata. E lui che ha fatto? Lo ha ammesso in tribunale, per cercare di evitare la casa di lavoro. Una cosa senza precedenti per un Riina: confessare qualcosa davanti ai giudici. Una violazione di tutti i codici mafiosi, e lui mafioso lo è, certificato, ha scontato una condanna a 8 anni per associazione mafiosa.

Ora, quell’ammissione di Salvuccio può diventare un bel pasticcio per i boss e i loro complici. Perché il giovane Riina conserva tanti segreti sulla stagione delle stragi Falcone e Borsellino, nel 2001 venne intercettato dalla squadra mobile di Palermo mentre raccontava a un amico fidato la strategia del padre durante la stagione delle bombe.

Ed ecco, allora, che arriva in soccorso Maria Concetta. Per i Riina, la comunicazione è ormai fondamentale. Dai social network ai media, Salvuccio aveva addirittura scritto un libro (con tanto di presentazione a Porta a Porta), ma non si è dimostrato all’altezza del ruolo. La più grande delle figlie femmine, invece, sintetizza nei pochi minuti dell’intervista alle Iene tutto quello che è necessario ribadire.
 
Primo. “Io non posso prendere le distanze da mio padre”, dice. Ovvero, tutti stiano tranquilli. “Non lo so se era uno stinco di santo, non lo devo giudicare io, sarà il Signore a giudicarlo”. Davvero tutti stiano tranquilli, il cognome Riina è ancora una garanzia di affidabilità e riservatezza rispetto alle cose del passato. Nessuno prenderà le distanze, nessuno farà ammissioni o parlerà. L’unica giustizia che i Riina riconoscono è quella di Dio, non quella delle procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze, che indagano sulle stragi.
 
Due. La Riina rassicura, ma manda anche un segnale. Proprio parlando del passato, che lei non giudica, ma ammette di conoscere. Perché dice: “Mio padre ha fatto comodo a tante persone”. E ancora: “Mio padre usciva da casa normalmente”. Poi: “Quando uscivamo li vedevamo i posti di blocco, ma non ci fermava nessuno”. Insomma, Maria Concetta sembra voler dirci che suo padre aveva tanti complici all’interno delle istituzioni, che prima lo hanno protetto e poi lo hanno beffato. Domanda: adesso, è a questi uomini infedeli delle istituzioni che Maria Concetta si sta rivolgendo con tono minaccioso? Forse li sta richiamando all’ordine, facendo capire che per ora nessun Riina parla, ma un domani chissà?  

Di sicuro, la figlia del padrino rilascia questa intervista in giorni difficili per la sua famiglia, giorni in cui lo Stato ha mostrato la mano decisa. Prima l’invio di Salvuccio alla casa di lavoro, poi gli arresti domiciliari per il marito di Maria Concetta per una vecchia truffa, intanto le indagini sul tesoro dei Riina, un altro grande segreto (Ci fosse qualcuno che chiede ai Riina: visto che non lavorate, da dove arrivano i soldi ogni mese?)
 
Le parole della figlia del capo dei capi sono davvero un distillato di cultura mafiosa. Il capolavoro è quando racconta del giorno in cui fu arrestato il padre, il 15 gennaio 1993.

“Abbiamo raccolto le nostre cose, chiamato un taxi e siamo andati, mia madre e i miei fratelli, a Corleone”. Maria Concetta ci ricorda il più grande segreto che conserva la famiglia: dopo l’arresto del capo dei capi, nessuno perquisì la loro villa di via Bernini. Così, Cosa nostra potè mettere al sicuro l’archivio di Totò Riina. E’ ancora l'archivio dei ricatti, la vera arma di Cosa nostra. Il pentito Giuffrè ha detto che è nelle mani di Matteo Messina Denaro, il rampollo del tiranno di Cosa nostra che lo Stato non riesce ad arrestare dal giugno 1993, nonostante sia condannato all’ergastolo per le stragi. E non lo riesce ad arrestare non perché investigatori e magistrati non siano bravi (sono bravissimi), ma perché qualcuno ancora protegge il superlatitante.

Uno degli ultimi pentiti di mafia, Lorenzo Cimarosa, il cugino di Messina Denaro, ha svelato che qualche anno fa uno dei generi di Riina voleva parlare proprio con Messina Denaro, ma il padrino fece sapere che non era il momento, era troppo rischioso. Cosa dovevano dire i Riina a Messina Denaro?

Tratto da: palermo.repubblica.it

Foto © Ansa

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