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battaglia letizia c luca mancusoLa fotografa: “Porterò autori dalla Turchia e dalla Cina. Qui non vedrete i miei scatti”
di Eleonora Lombardo
Mancano ormai poche ore all’inaugurazione del Centro internazionale di fotografia, nel padiglione 18 dei Cantieri Culturali della Zisa. Letizia Battaglia perlustra ogni angolo e non può fare a meno di essere entusiasta, di fare uscire dagli occhi la gioia di avere realizzato il suo sogno. C’è ancora qualche lavoro da fare, qualche ritocco, ma lei vuole superare gli ostacoli e incoraggia tutti, dall’architetto all’operaio: "Avanti, non vi preoccupate, risolviamo. E oggi voglio tutti gli operai accanto a me" così, va dicendo per placare gli animi e guardando in faccia l’obiettivo: aprire, nonostante tutto. Con i suoi capelli verdi e la sua carica coinvolgente ha 82 anni di giovinezza sulle spalle. I colleghi che quaranta anni fa scattavano con lei raccontano che non solo era brava, ma che aiutava gli altri a fare foto stupende perché riusciva ad animare i cortei, parlava con i tifosi allo stadio e dava più vita alle cose. Lei dice che la fotografia le ha salvato la vita, che è nata quando a quaranta anni si è messa in mano una macchina fotografica.

Quando le è venuta l’idea del Centro fotografico?
"Nel 1978 io e Franco Zecchin aprimmo una galleria fotografica in via Quintino Sella, uno spazio piccolo, ma veniva molta gente e la Magnum ci faceva fare delle mostre bellissime. E facemmo l’associazione Laboratorio If, che stava per Informazione fotografica, ma anche come il “se” inglese, e soprattutto era un richiamo al film di Lindsay Anderson sulla ribellione alla violenza. Ecco, c’era una certa ribellione anche in noi. Poi questa galleria è stata curata da mia figlia Shobha che la spostò in via Ruggero Settimo. Ma anche lì, sempre cose piccole. Io ho sempre amato lavorare con gli altri: con le donne, con i matti, con il teatro, con la politica. Allora sei anni fa andai a chiedere uno spazio a Orlando per potere fare grandi cose a Palermo, perché siamo intelligenti, non dobbiamo essere i cafoni d’Europa. Abbiamo bisogno di esprimere i nostri talenti e di farlo al meglio. Il giorno dopo che sono andata da Orlando, altri sono andati da lui a chiedere: “picchì idda”?"

Che vuol dire “picchì idda”?
"Perché proprio lei? Perché darle uno spazio? Si pensava che cercassi uno spazio per mettere in mostra le mie foto, ma qui non ne vedrete neanche una. L’ambizione è molto più alta. Io voglio vedere crescere gli altri, voglio scoprire talenti e coltivarli, come la giovane donna albanese che è venuta a trovarmi da Messina ed è un’ottima fotografa o il salumiere che ha un occhio fantastico e ha bisogno di studiare: l’ho invitato già a venire a fare il primo workshop. E quindi quello che vedrete non saranno le mie foto, ma, vicino la porta del mio studio, un neon rosso realizzato da Riccardo Gueci: picchì idda?"

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Qual è l’ambizione di questo spazio?
"Che diventi un’agorà, un posto per far nascere e crescere delle correnti di pensiero. Farò venire gente dall’Egitto, dalla Turchia, ma anche dal Nord Europa, anche due cinesi. Stamperemo le foto a Palermo, perché in città abbiamo un ragazzo che stampa dal digitale meglio di uno a New York, Davide Guadagna. E poi vorrei che tutte le realtà fotografiche della città convergessero in questo posto. Vorrei istituire delle borse di studio per mandare i ragazzi palermitani nelle scuole di Londra, Liverpool, New York e viceversa."

Come si sostenta il Centro?
"Il Comune dà un contributo di 50 mila euro l’anno. Ma con pochi soldi si possono fare delle cose bellissime. È troppo bello quello che sta succedendo e io conto sul fatto che molte persone vorranno aiutarci. È già successo con l’architetto Iolanda Lima che ha completamente regalato il progetto dello spazio. È come se Palermo nel suo disordine fosse un input etico, morale, per chi vive fuori. Suscita rabbia e amore e fa venire voglia di intervenire".

Cosa è che rallenta le cose a Palermo?
"La mancanza di professionalità, non c’è la determinazione né la fiducia in se stessi per fare le cose bene. Lavorare e raccontare, lavorare fino a raggiungere la perfezione. Manca questo".

Che cos’è la fotografia per Letizia Battaglia?
"Una fotografia è te stessa che ti inserisci nel mondo. È il tuo cuore che batte, la tua testa che pensa. Trasformi il mondo secondo quello che sei. Se sei Koudelka vedi la solennità della vita nella contaminazione che questo mondo subisce. Se sei fascista fai foto fasciste, se sei progressista fai foto progressiste".

A cosa sta lavorando adesso?
"Faccio incontri, la gente mi vuole incontrare e io ho bisogno di conoscenza, non mi accontento di rapporti superficiali. E poi sto lavorando a un progetto che si chiama “La bellezza di Greta”, fotografo una bambina da un anno e la seguirò fino a che potrò scattare foto. Davanti la macchina fotografica lei diventa me, lei è Palermo e la vedremo crescere e diventare grande".

Foto di copertina © Luca Mancuno


Il Centro internazionale di Letizia Battaglia si inaugura stasera con la collezione permanente sulla città: il carcere e le giostre
Palermo raccontata dalle foto
di Paola Nicita
Palermo, Palermo, Palermo: una non basta, tre è un eco che serve a dilatare il tempo per interrogarsi su quale sia l’anima di questa città, quali le sue coordinate per trovarla non solo sulle mappe, quale il suo ritratto più autentico, vero, onnicomprensivo delle mutevolezze e dei tradimenti che vengono, anche da lei stessa, incessantemente perpetrati.
Questa città raccontata e guardata, molto spesso ancor prima di essere conosciuta e vissuta, attraversata con passi che sono viaggi alla scoperta di labirinti, stradine dalla pareti di tufo, boulevard che volevano essere mitteleuropei, balate sconnesse, piazze, palazzi, fontane di insostenibile bellezza, e tutto il carico della storia sulle spalle, faticoso da portare, urgente da aggiornare. Ma come si fa allora a raccontare Palermo?

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La bambina e il raggio di sole © Archivio L. Battaglia


“Gli uomini di questa città io non li conosco”, intitolava Franco Maresco il suo documentario su Franco Scaldati, e questa affermazione può essere vera anche per la città abitata da questi uomini sfuggenti, veloci a dimenticare e infallibili nel vendicare. Ma anche sognatori e possessori di quel crinale tra gli opposti. Osservatori implacabili e motivo d’interesse visivo; Palermo e i palermitani sono incredibilmente inclini ad essere fotografati, e anche a fotografare: e generosi. Lo sa bene Letizia Battaglia che per la collezione permanente del Centro internazionale di fotografia ai Cantieri alla Zisa, sostenuto dal Comune, che si inaugura stasera alle 19, ha invitato alcuni fotografi a donare una loro immagine della città, creando un corpus di lavori che dà vita a “Fotografi per Palermo”, mostra permanente dedicata alla città. E, forse è il caso di ricordarlo, è un dono anche l’inaugurazione del Centro, fortemente voluto da Letizia Battaglia, e il cui progetto architettonico è stato generosamente donato da Antonietta Iolanda Lima, due signore dell’arte a cui si deve questa realizzazione. Così come è un dono il lavoro di tutti coloro che vi hanno collaborato, dalla grafica, all’allestimento, alla cura delle mostre.
Palermo appesa al muro, adesso, è un puzzle di immagini a colori e in bianco e nero, che si inseguono sulle pareti e si incastrano nelle differenze. Ed è un ritratto autentico anche se mancano alcune parti, alcune visioni, come quelle di Franco Zecchin che aveva regalato l’immagine di un triplice omicidio, Ernesto Battaglia con la sua foto di Luciano Liggio, Lia Pasqualino che aveva fotografato il Teatro Garibaldi: sparite, si vedrà se per sempre.

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Per iniziare questo viaggio che cuce frammenti di tempo, luoghi e sguardi, si può iniziare da una fotografia datata 1974, firmata da Santi Caleca. Tra i marmi della fontana Pretoria, in quegli anni, sfilavano ragazzini senza vestiti o con al massimo le mutande, che si erano appena tuffati sotto i getti dell’acqua. Il divertimento di chi non poteva nemmeno raggiungere il mare era lì, nel centro della piazza, con gli asciugamani desiderosi di sabbia che venivano lasciati distesi sulle balaustre di marmo. Bambini piccoli, dalla gestualità forte che guardano con sfida e divertimento l’obiettivo del fotografo, in quegli anni collaboratore del giornale L’Ora.
Roberto Collovà ha regalato una sua fotografia scattata nel 1974. Si intitola “Ucciardone”, e mostra le alte mura del carcere con le guardie che passeggiano, mentre giù, nell’ampio spazio sottostante, un nutrito gruppo di ragazzini sta giocando al pallone.
Le giostre che un tempo segnavano l’arrivo al Foro Italico permangono in una immagine di Sandro Scalia, colorata e dolente come un giocattolo rotto, Shobha fotografa in bianco nero un gruppo di bambini a Borgo Vecchio, fermati nell’equilibrio di un litigio, Gabriele Basilico scolpisce con la sua grazia decisa una immagine con le architetture nuove della città. Tano Siracusa racconta la bellezza giovanile delle proteste studentesche, Mimì Mollica ritrae un uomo che sembra uscito da un film, Emanuele Lo Cascio fotografa di spalle un uomo monolitico, seduto e immerso nell’acqua, Enrico Prada un pesciolino del mare di Mondello, Mauro D’Agati racconta muri e il sentimento del centro storico, Valentina Glorioso una storia al femminile, Stefania Romano un sogno possibile.
E ancora, c’è la Palermo di piazza Caracciolo, del Teatro Massimo, dei club del mare in inverno, dei fili d’edera avvolti alle balaustre, dei mercati con la luce gialla, delle tavole imbandite e dei tanti volti a colori e in bianco e nero che sembrano interrogare l’obiettivo.
Insieme a questa mostra, si inaugura, ispirata alla Carta di Palermo, “Io sono persona - Storie di emigrazioni e immigrazioni raccontate da fotografi italiani”, con la cura di Giovanna Calvenzi, Kitti Bolognesi, Marta Posani. Anche qui tanti i fotografi coinvolti: da “Senegal/Sicilia” di Alberto Amoretti a “Petra palace” del palermitano Alfredo D’Amato, autore di un reportage a Patrasso, a “Limbo” di Valentino Bellini e Elieen Quinn, sul traffico di migranti tra Nord Africa e Italia. E ancora immagini di Ferdinando Scianna (che ritrae un gruppo di persone in Albania), Mimmo Jodice, Uliano Lucas, Antonio Biasucci, Giovanni Chiaramonte, e molti altri ancora.
Altra mostra è “The Leopard” di Isaac Julien, a cura di Paolo Falcone, un video girato tra Palazzo Ganci e Agrigento, e due lightbox, per il racconto di una Sicilia visionaria.

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