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Morì in caserma dopo una lunga agonia a 26 anni. La commissione: ecco le prove
Prima era la morte del militare Emanuele Scieri, ora è il suo assassinio. In buona sostanza è questa la consapevolezza acquisita dalla commissione parlamentare d’inchiesta guidata da Sofia Amoddio che, dopo 18 mesi di lavoro serrato - “mi creda, non ci siamo risparmiati, abbiamo condotto le audizioni come interrogatori spesso durati ore e ore” - 70 audizioni e migliaia di carte acquisite, ha scelto di consegnare tutto alla Procura di Pisa chiedendo la riapertura delle indagini.
C’è molto riserbo sui nuovi elementi emersi nel corso di questa istruttoria che registra una forte sintonia dei componenti di tutti i gruppi (in una conferenza stampa tenuta alla Camera i toni di indignazione sono stati condivisi da Stefania Prestigiacomo, Pippo Zappulla, Massimo Baroni), ma le parole della presidente sono chiare - “abbiamo gli stessi poteri della magistratura ma non possiamo fare arresti o eseguire misure cautelari” - e fanno pensare che carne al fuoco ce ne è.
Aveva 26 anni il parà Emanuele Scieri, neo avvocato siracusano, quando venne trovato morto nella caserma Gamerra della Folgore di Pisa. Era il 16 agosto 1999 ma le sue tracce si perdono la sera del 13. Al contrappello delle 23.45 Scieri, infatti, non si presenta. Assente anche il 14 e il giorno successivo, Ferragosto, ma nessuno dà l’allarme. Nel corso nella notte del 13 nessuno alla caserma Gamerra, né gli ufficiali di picchetto né i sei militari della ronda e quindi di guardia, né il sottufficiale d’ispezione, si accorgono che vicino al magazzino di casermaggio c’è il corpo di una persona agonizzante. Perché non morì subito. Il corpo del giovane siciliano viene rinvenuto senza vita ai piedi della torretta dell’asciugatoio dei paracadute della Gamerra. Un volo di 12 metri che, secondo le prime ricostruzioni, non uccise subito Scieri, spirato dopo una lunga agonia. Il cadavere è ‘nascosto’, lontano dal posto di caduta: con le stringhe delle scarpe slacciate e la colonna vertebrale spezzata. Sul corpo, nelle mani, abrasioni come se fosse stato calpestato. Una morte terribile. Secondo i commissari è particolarmente inquietante che, mentre in caserma era in corso il ‘contrappello’ e Scieri era già in terra, abbandonato, parte una telefona da Pisa verso il telefono personale dell’abitazione del generale Enrico Celentano, comandante della Folgore. Non si è mai saputo nulla al riguardo e da allora è stato tutto un seguito di omertà, omissioni e bugie che hanno visto compatti gli uomini della brigata più omaggiata. La famiglia, da subito, disse che non credeva a una morte accidentale, Corrado Scieri e Isabella Guarino, i genitori di Emanuele, pubblicarono nel 2007 un libro (Folgore di morte e di omertà), accusando la caserma pisana di essere stata prima “un mattatoio”, e poi “una centrale di omertà da fare impallidire Cosa Nostra”. Dietro la scena tragica di una morte atroce, un silenzio vigliacco, un’omertà spaventosa c’è la violenza, anzi l’abitudine alla violenza dell’ambiente militare. Le testimonianze dei militari sentiti, ha detto Sofia Amoddiohanno acclarato che nella Gamerra avvenivano gravi atti di violenza non riconducibili a semplice goliardia; che i controlli in caserma erano blandi, perfino dopo il contrappello, tanto che diversi paracadutisti si permettevano di uscire scavalcando il muro di cinta; che la zona dove è stato ritrovato il cadavere di Emanuele Scieri era isolata ma presidiata dagli ‘anziani’ che la utilizzavano come spazio di rifugio e di svago: uno spazio totalmente esente da regole e controlli, noto e tollerato dai comandanti”.
L’uso di atti intimidatori e violenti nei confronti dei giovani militari era continuo se è stato accertato che anche nel pullman che il 13 agosto conduce Scieri insieme agli altri commilitoni alla caserma di Pisa, si sono “verificati gravi episodi di violenza a carico delle reclute, veniva loro imposto anche di mantenere la posizione cosiddetta della sfinge, costretti con i riscaldamenti accesi e i finestrini chiusi in un periodo caldissimo”, dice la presidente della Commissione, dal cui lavoro emerge che Emanuele si ribellò a quello stato di cose e fu punito. Ora sta alla Procura raccogliere i nuovi elementi di prova, rendere giustizia alla memoria del giovane e alla sua famiglia e ricordare all’Italia che la Brigata Folgore non è solo una comunità di bravi ragazzi.

Tratto da
: Il Fatto Quotidiano del 28 settembre

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