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manca famiglia bigdi Franco Di Carlo
Grande è il clamore e la preoccupazione per vicenda tristemente nota dell’omicidio-suicidio dell’urologo Attilio Manca.
Ed è riaffiorato il ricordo della mia esperienza vissuta, aggiungo purtroppo, avendo già raccontato qualcosa in proposito.
La vicenda che ha visto incolpevole protagonista Attilio Manca è simile a tante altre accadute in Cosa Nostra: omicidi spacciati per suicidi, oppure come incidenti di percorso.
Emblematico il caso di Peppino Impastato, assassinio mafioso archiviato come incidente. Il ragazzo avrebbe maneggiato maldestramente un ordigno mentre stava preparando un attentato, rimanendone così vittima.
E tale sarebbe rimasto se dopo 18 anni non fossi arrivato io. Fu grazie alle mie dichiarazioni che il fascicolo sulla morte di Peppino venne riaperto dalla dottoressa Imbergamo allora alla procura di Palermo.
Peppino Impastato ebbe giustizia.
Seguendo il caso Manca mi è tornato in mente un altro omicidio-suicidio, avvenuto tanto tempo fa.
Un giornalista di Termini Imerese che, con le sue inchieste, facendo onestamente il suo lavoro, dava fastidio a Cosa Nostra d’allora, padrona di quei territori.
Una mafia molto agguerrita e molto potente, anche perché politicamente protetta dai politici locali che ne erano organici.
Il giornalista di cui parlo si chiamava Cosimo Cristina, lavorava all’Ora di Palermo, la testata più detestata da Cosa Nostra e dalla Democrazia Cristiana, ambedue attaccate pesantemente da questo giornale.
A voler la morte di Cosimo Cristina fu don Peppino Panzeca, capo famiglia di Caccamo e capo mandamento di quel territorio che comprendeva Termini Imprese, Trabia e altri paesi limitrofi.
Territorio dal quale Cosimo Cristina prendeva spunto per i suoi articoli, considerati da Cosa Nostra una vera e propria persecuzione.
Di qui l’ordine di eliminare il giornalista, con la raccomandazione di non fare “scrusciu” (rumore). Così si dice in Cosa Nostra quando non si vogliono creare allarmismi nell’opinione pubblica: uccidere facendo in modo che risulti evidente il suicidio, tesi sostenuta dalle connivenze a livello istituzionale, che sul territorio non mancano mai.
Così la morte del povero Cristina venne archiviata come suicidio.
E con dispiacere che apprendo che la morte di Attilio Manca corra il concreto rischio di avere lo stesso epilogo. Archiviazione che significherebbe negare giustizia e verità ad una vittima martoriata e infangata, dal momento che si è tentato di farlo passare per un eroinomane.
Soprattutto sono profondamente rammaricato per quella povera mamma, la signora Angela Manca, che insieme al marito, sta da anni portando avanti una battaglia per ottenere giustizia e verità.
Spero davvero che questa archiviazione non avvenga e che il procuratore aggiunto di Roma, Michele Prestipino, magistrato capace e competente, valuti qualsiasi indizio utile a dare un barlume di speranza a Angela e Gino Manca, e al fratello di Attilio, Gianluca.

Tratto daarticolotre.com

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