Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

mormile fratelli di matteo via damelio 610di Antonella Beccaria
“Mormile, nonostante sia stato infangato come corrotto, venne ucciso perché rifiutò di fare una relazione compiacente a Domenico Papalia. A parlare è Vittorio Foschini, ‘ndranghetista pentito che il 26 aprile 2015 ha detto anche altro: Mormile sapeva di un patto tra criminalità organizzata calabrese e servizi segreti. L’educatore carcerario lo disse chiaramente: “Io non sono dei servizi”, quando gli venne chiesto un favore per il boss Domenico Papalia, e per questo – anche per questo – morì. “Questa allusione sui rapporti servizi-Papalia, oltre che al rifiuto di fare il favore, fu fatale al Mormile”, spiega infatti Foschini.

Vediamo di capire meglio. Umberto Mormile, 37 anni, era un educatore in servizio nel carcere di Opera dopo essere stato a Parma. Fu ammazzato l’11 aprile 1990 a Carpiano, nel milanese, mentre andava al lavoro. Gli furono sparati sei colpi di 38 special esplosi da un’Honda 600 che aveva affiancato la sua Alfa 33. L’omicidio venne rivendicato dalla Falange Armata – Falange Armata Carceraria, per la precisione – sigla che esordì proprio con questo delitto (e sul punto torneremo).

In via definitiva per l’omicidio Mormile sono stati condannati come mandanti Domenico e Antonio Papalia e come esecutori materiali Antonio Schettini e Nino Cuzzola. Nel corso del processo, la memoria dell’educatore carcerario fu sporcata da insinuazioni secondo cui avrebbe avuto una “condotta non specchiata” e troppo propensa a prestare favori ai boss detenuti, sia a Parma che a Opera. Falso, tanto che già nella stessa sentenza di condanna non lo si dava per certo, non c’erano elementi per sostenerlo.

Perché tornare a parlare adesso di tutto questo? Per due ragioni. La prima è che il 19 luglio scorso, sul palco allestito a Palermo, in via d’Amelio, per la commemorazione della strage in cui perse la vita il giudice Paolo Borsellino 25 anni fa, sono saliti per la prima volta Stefano e Nunzia Mormile, fratelli di Umberto. Insieme ad Armida Miserere, la direttrice di carcere legata sentimentalmente all’educatore assassinato e morta suicida a Sulmona il 19 aprile 2003, i fratelli hanno portato avanti per anni ricerche in proprio e sono giunti a una conclusione: Umberto fu assassinato perché testimone di una versione forse ante litteram del Protocollo Farfalla, una sorta di accordo tra servizi segreti e amministrazione penitenziaria per entrare in carcere e parlare con i boss al 41 bis, il regime di carcere duro.

Stefano e Nunzia Mormile lo hanno ripetuto pubblicamente pochi giorni fa in via d’Amelio e lo hanno fatto in modo tanto vigoroso da essere stati avvicinati da Nino Di Matteo, il pm palermitano oggi alla Direzione nazionale antimafia (vedi foto in evidenza). La seconda ragione per cui tornare a parlare di Umberto Mormile si lega alla prima, l’esistenza di un antesignano del Protocollo Farfalla noto a Umberto e possibile causa (o almeno concausa) del suo omicidio. Di questo si parla nell’ordinanza ‘Ndrangheta Stragista, quella che ipotizza (in realtà conferma aggiungendo nuovi elementi rispetto a quelli già conosciuti) l’esistenza di un patto terroristico tra malavita calabrese e Cosa nostra per destabilizzare lo Stato.

Proprio nelle 970 pagine dell’ordinanza compaiono le parole di Foschini e a pagina 914 c’è un paragrafo che si intitola “Un filo rosso delle vicende stragiste: le rivendicazioni Falange Armata. L’omicidio Mormile. La riunione di Enna e le dichiarazioni di Cannella, Avola e Malvagna. Le dichiarazioni di Foschini e Cuzzola. Il copyright della ‘ndrangheta e di settori deviati degli apparati di sicurezza nazionale”. Sul delitto Mormile, che aveva già bloccato un permesso di Domenico Papalia e stava rifiutando il secondo favore, intervennero anche – scrive la gip di Reggio Calabria Adriana Trapani – i servizi segreti o, più precisamente, “non identificati esponenti” degli apparati di sicurezza, che suggerirono ai Papalia di usare la sigla Falange Armata per rivendicare il delitto.

Così successe e nell’ordinanza reggina si legge ancora (a parlare è sempre Foschini): Antonio Papalia, come ci disse (a me, a Flachi, a Cuzzola, a Coco Trovato e altri) parlò con i servizi che, dando il nulla osta all’omicidio Mormile, si raccomandarono di rivendicarlo con una ben precisa sigla terroristica che loro stesso indicarono. Ecco la risposta alla domanda che mi avete fatto con riferimento alla rivendicazione ‘Falange Armata’ dell’omicidio Mormile”.

A questo proposito ha aggiunto il collaboratore di giustizia Antonino Fiume: “Tutti gli omicidi di un certo tipo venivano decisi dal ‘consorzio'”. Certo, affermazioni da riscontrare ancora, ma ce ne sarebbe abbastanza per tornare a indagare sul delitto Mormile e sulle complicità di uomini dello Stato in quell’omicidio. Per questo, forse, a processo ci fu chi puntò sulla sua inesistente “condotta non specchiata”.

Tratto da: ilfattoquotidiano.it

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos