di Antonio Ingroia
Non ci dovrebbe essere più bisogno di spiegare quanto sia ormai indifferibile un cambio di strategia radicale nella lotta alla corruzione, se davvero si vuole vincere la guerra. Lo si diceva già ai tempi di Mani Pulite, da allora però poco o nulla è cambiato e quel poco anche in peggio. Lo dicono i tanti scandali dell’infinita Tangentopoli, un buco nero che ingoia ogni anno decine di miliardi nell’indifferenza e con la complicità di una classe politica profondamente compromessa, che anziché complicare la vita ai corrotti la complica ai magistrati, rendendo ardue indagini e condanne. Anche in questa legislatura si è agitata spesso la bandiera dell’anticorruzione, ma poi, al dunque, ci si è limitati ai soliti pannicelli caldi. Un Paese che ha saputo sconfiggere il terrorismo e fronteggiare la mafia con norme assolutamente innovative, come le leggi antiterrorismo e la legge voluta da Pio La Torre per la confisca dei beni mafiosi, guarda compiacente, indifferente e rassegnato alla corruzione.
È possibile cambiare questo stato di cose? Sì, ma occorre una precisa volontà politica. Ripensare la normativa anticorruzione recuperando il meglio della lotta alla mafia. Giovanni Falcone sosteneva che la mafia va aggredita sul versante finanziario, e infatti la confisca dei beni è stata la misura più efficace. Contro i corrotti serve lo stesso approccio: bisogna estendere ai colletti bianchi indiziati dei reati più gravi – corruzione, concussione, corruzione giudiziaria - la legge voluta da La Torre per i mafiosi. È il senso della proposta di legge “La Torre bis” che abbiamo scritto con altri giuristi e Franco La Torre, figlio di Pio: in presenza di gravi indizi di corruzione partono gli accertamenti finanziari e patrimoniali e, se c’è sproporzione tra il valore del patrimonio e il reddito dichiarato, si sequestrano i beni dell’indiziato corrotto. Chi non riesce a dimostrare la provenienza lecita delle ricchezze subisce la confisca dei beni da destinare a finalità pubbliche e sociali.
Il progetto è arrivato in Senato, seppur in forme diverse da coordinare fra loro, ma lì si è arenato. Perciò abbiamo avviato una petizione online a sostegno della legge che rilanceremo domani a Palermo in un convegno con Nino Di Matteo, pm antimafia di primo livello. Un omaggio dovuto a Pio La Torre, di cui domenica ricorre il 35esimo anniversario dell’assassinio mafioso, e un segnale al Parlamento perché negli ultimi mesi di legislatura abbia un sussulto e approvi una legge finalmente adeguata.
La sfida è soprattutto rivolta a quell’ampio fronte democratico che il 4 dicembre si è ritrovato sotto la bandiera del No al referendum. A cominciare dal Movimento 5 Stelle, perché, come hanno chiesto anche Zagrebelsky e Travaglio sul Fatto, esca dal proprio isolamento dorato e improduttivo, e cominci, a partire dalla “La Torre bis”, un percorso nuovo e comune a quello, conseguente all’esito del referendum, di chi combatte le stesse battaglie pur non appartenendo al M5S. Penso alla lotta alla mafia e alla corruzione, ai diritti civili e sul lavoro, alla centralità della scuola pubblica, al ripudio della guerra, allo sviluppo ecosostenibile.
Da qui può iniziare un processo di aggregazione per costruire un’alleanza trasversale in grado di restituire finalmente democrazia, giustizia e diritti ai cittadini e di cambiare gli equilibri politici e parlamentari futuri. Ma non c’è tempo da perdere, il popolo dei delusi aspetta di avere nuovi stimoli per tornare ad appassionarsi alla politica. Bisogna recuperarli subito, uno per uno, altrimenti vinceranno ancora una volta i soliti centri di potere, le mafie, le caste delle lobby e dei corrotti. È l’ultima occasione per salvare l’anima onesta del Paese. Altrimenti vincerà ancora una volta la classe dirigente criminale che controlla le nostre vite. E sarà un’altra occasione perduta per cambiare il Paese. L’ultima.
Tratto da: Il Fatto Quotidiano
Foto © Paolo Bassani