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manca gianluca c giuseppe pollicinaIl fratello del giovane urologo siciliano torna a parlare dopo la (vergognosa) sentenza di Viterbo
di Gianluca Manca
Attilio Manca fu il primo in Italia, ad importare dalla Francia, nei primi anni del 2000, la tecnica della prostatectomia radicale operabile per via laparoscopica (così come riferisce l'Ansa).
Attilio Manca, mio fratello, sarà ricordato per questo, nonostante avesse poco più di trent’anni.
Non resterà nulla di chi lo ha ucciso, infangato e umiliato”. Le parole di Gianluca Manca affidate alla sua pagina facebook rimbalzano su quei sepolcri imbiancati colpevoli o complici della morte di suo fratello.
“In quanto giustizia ritardata – aveva dichiarato Gianluca, subito dopo la sentenza, a Luciano Armeli Iapichinoquella di oggi è senza dubbio una giustizia negata che sopraggiunge dopo 13 anni dalla morte di Attilio, infangandolo e uccidendolo per la seconda volta. Attilio, oggi, è per le Istituzioni più morto di prima”. Il fratello del medico siciliano aveva quindi citato Lyndon Baines Johnson quando diceva “Il problema non è fare la cosa giusta. E’ sapere quale sia la cosa giusta”, per poi aggiungere, rivolgendosi al Tribunale di Viterbo: “Questo magistrato, forse, non sapeva quale fosse la cosa più giusta”.
Sono passate solo 48 ore dalla condanna di Monica Mileti e il senso di una grave ingiustizia subita brucia ancora.
Solamente un anno fa Gianluca Manca aveva tracciato una sorta di previsione sull’esito del processo a carico di Monica Mileti. “Quando determinati fatti vanno a toccare i colletti bianchi – aveva dichiarato – è difficilissimo poter raggiungere una verità e una giustizia. Probabilmente la vicenda di Attilio Manca si instaura nell’ampio quadro  della trattativa Stato-mafia. Non è più un problema che riguarda una famiglia alla ricerca della verità e della giustizia, riguarda un problema ben più grave: un problema italiano di cercare di smascherare determinati personaggi che, sia nel passato, quanto ancora oggi, occupano importanti posti a livello nazionale. Posti talmente alti dal punto di vista istituzionale che apporterebbero un allontanamento da parte dell’opinione pubblica – votante – verso lo Stato”. L’amarezza del fratello di Attilio Manca aveva quindi lambito il palazzo di giustizia di Viterbo. “La vergogna che io provo nei confronti dei pubblici ministeri che si sono occupati del caso di mio fratello, probabilmente milioni di persone la proverebbero nei riguardi di alti personaggi istituzionali”. “L’unica speranza che ho da familiare – aveva quindi ribadito – è rivolta ai pentiti. Da avvocato io non potrei mai dire una cosa del genere, perché la ricerca delle prove non la puoi riporre solo su una dichiarazione di un pentito: è l’ultima spiaggia. Evidentemente in Italia per determinati processi penali, dopo 12 anni nei quali certe prove non si vuole prenderle in considerazione, per poter cristallizzare definitivamente la morte di una persona, come nel caso di Attilio Manca, lo si può fare solo con un pentito che dichiari: ‘io so, ho visto, sono stato lì, so che Attilio ha visitato Provenzano ed è stato ucciso per questo’. Non c’è nessun’altra strada da poter intraprendere dal punto di vista giuridico”. “Purtroppo – aveva evidenziato Gianluca Manca con malcelata disillusione –, al di là del fatto che al nostro fianco ci siano degli avvocati valenti e preparati come Fabio Repici e Antonio Ingroia, loro stessi si sono scontrati con quel muro di gomma che non è dettato dai meccanismi perversi della giustizia, ma da quelli perversi di chi regola la giustizia. Mi riferisco a personaggi istituzionali che fanno sì che per alcuni processi cali il silenzio, come se l’opinione pubblica dovesse cancellare quel determinato processo”. L’ombra di Provenzano era quindi tornata a prendere forma, per il fratello del giovane urologo non c’erano e non ci sono dubbi sull’esistenza dell’asse Marsiglia-Viterbo. “Io sono convinto che Attilio abbia operato o anche solo visitato Bernardo Provenzano – aveva affermato con fermezza –, ecco perché l’uccisione di Attilio si interseca nella trattativa tra lo Stato e la mafia: quella relativa alla latitanza di Provenzano collegata alla sua operazione alla prostata”. Per Gianluca era ed è del tutto evidente che “elementi istituzionali ‘deviati’ hanno protetto Provenzano tra la fine del 2003 e i primi mesi del 2004”. “Sappiamo che questi personaggi istituzionali molto alti - direttamente o indirettamente - sono stati compartecipi della morte di Attilio, attraverso dei comportamenti omissivi, finalizzati a cercare di frenare la verità giuridica. E tra coloro che hanno osteggiato la ricerca della verità, c’è indubbiamente anche l’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano”.
“Ormai la mia rabbia verso le istituzioni che non ci hanno tutelato si è trasformata in rassegnazione – aveva dichiarato il fratello di Attilio Manca in un mix di dolore e disincanto –, che è ancora più brutta. Ho capito che è difficile poter avere una verità quando si toccano dei poteri forti. Ti devi rassegnare. O aspetti paziente per 25 anni come la famiglia Agostino, o il sistema ti distrugge e ti annienta. Ti annienta comunque perché il tempo logora… e ti logora ancora di più se ti arrabbi già dall’inizio”. “Io so che ci vorrà ancora tanto tempo – aveva concluso –. E so che probabilmente mio padre non saprà mai la verità giuridica su Attilio. Ne sono convinto anche se vorrei che non fosse così, mi dispiace davvero tanto. Mia madre, invece, forse potrà conoscere quella verità… Oggi se potessi parlare con Attilio farei con lui una grossa litigata, per non avermi ascoltato su determinati amici che lui ha frequentato fidandosi, poi però l’abbraccerei… In un ipotetico futuro spero di potermi ritrovare vecchio con un cerchio che si chiude sulla verità di Attilio, così da poter respirare senza più affanno”.

Foto © Giuseppe Pollicina

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