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siani giancarlo web3di Lorenzo Frigerio
Sono già passati trentuno anni dall’omicidio di Giancarlo Siani. Oggi più che mai è chiaro come quel 23 settembre 1985, a Napoli, fu ucciso non solo un giovane cronista di valore ma anche la libera informazione.
Quando Giancarlo fu assassinato, non ci fu piena consapevolezza di come quell’omicidio fosse una ferita inferta all’intera collettività, oltre che naturalmente alla famiglia e alla comunità allargata di parenti, amici e colleghi. Non fu compreso cioè che, quando si uccide un operatore dei mezzi di comunicazione, si attenta alla libertà d’espressione e di stampa e ad essere colpita profondamente è la comunità intera, che si vede privata di colpo della possibilità di informare ed essere informata. Non si elimina soltanto un testimone scomodo o una voce fastidiosa, ma si mette il silenziatore alla vita di un paese, di un territorio. Fatto ancora più grave quando questo avviene in una terra dove a farla da padrone è la criminalità mafiosa o camorristica.
Giancarlo, infatti, sapeva dare spazio alle voci e all’umanità delle periferie di un grande centro urbano come Napoli, anche se era un “abusivo” secondo i canoni ufficiali della professione giornalistica. Precario in attesa di essere regolarizzato, eppure giornalista con la schiena dritta. Nonostante questo, a quel tempo fu dimenticato in fretta quel ragazzo che faceva la spola con la sua Mehari tra Torre Annunziata e Napoli, alla ricerca di notizie da mettere in pagina l’indomani.
Se Napoli oggi è più cosciente di allora del valore di Siani, lo è soltanto grazie all’impegno caparbio della famiglia e degli amici di Giancarlo che, nonostante il passare degli anni, hanno saputo, coinvolgendo associazioni e istituzioni, costruire appuntamenti di valore per segnare il ricordo e non disperderne la lezione umana e professionale, con particolare attenzione al mondo della scuola e ai giovani.

L’abito quotidiano di Giancarlo
Giancarlo insegna oggi agli studenti e ai più giovani l’amore per la vita e la verità, testimoniato dalla passione e dalla forza che solo i giovani sanno mettere in campo quando sposano una causa. E la causa che Siani, giovane cronista, aveva sposato era quella della libera informazione.
Scrivere e informare era diventato l’abito quotidiano di Giancarlo. Lo animava un amore viscerale nei confronti della sua terra e dei tanti che incontrava, per caso ma quotidianamente nel suo lavoro. Dai suoi articoli emerge sempre un’attenzione profonda all’essere umano e alle fatiche della vita: un racconto partecipato di drammi umani e sociali ben più grandi delle possibilità di farsene carico.
Riusciva Giancarlo a fare sembrare importante ogni persona, ogni storia, ogni evento, secondo una personale scala di valori in cima ai quali c’era il rispetto per la vita umana. Ogni mera rappresentazione dei fatti, negli articoli di Siani lascia sempre il campo ad una via d’uscita, ad una proposta che rimetta al centro la persona umana.
Siani rischiò molto nel fare il suo lavoro in questo modo. Un giornalista è sempre fastidioso per il potere e la criminalità e lo è ancora di più quando è mosso da un afflato di partecipazione alle vicende che racconta. Non è più un testimone asettico, ma un protagonista attivo delle vicende che racconta.
Fu questa la ragione che portò i killer dei clan camorristi sotto casa di Siani quel 23 settembre 1985. Fu la sua tempra umana, unita alla sagacia professionale, a spaventare i boss e a spingerli a prendere la decisione di eliminarlo per sempre.
Chissà chi o cosa sarebbe diventato Siani se fosse sopravvissuto a quell’attentato. Chissà cosa direbbe e penserebbe della sua professione, della lotta alla camorra o di altro ancora.

Icona dell’antimafia?
Azzardiamo ma non troppo se diciamo che, di sicuro, Giancarlo non sarebbe diventato un’icona dell’antimafia prêt-à–porter che tanto sembra andare di moda oggi.
Avrebbe certamente rifuggito l’etichetta del giornalista minacciato o sotto scorta che, a volte ma non sempre per fortuna, sembra diventare l’unica cifra professionale di colleghi che indossano le minacce come se fosse una giacca d’ordinanza.
Eh sì, perché accanto a coraggiosi cronisti finiti sotto tutela per il loro lavoro, ci sono anche personaggi dalla dubbia condotta che le recenti cronache hanno smascherato, dopo averli incensati e portati sugli altari. Al contrario e per fortuna, conosciamo validi giornalisti che hanno imparato a convivere con le minacce ricevute oppure con le querele temerarie subite – la nuova arma della criminalità mafiosa e massonica – per continuare a svolgere il loro lavoro, senza clamori e come sempre.
Ecco se Giancarlo fosse tra noi ancora oggi, non tollererebbe di certo l’incapacità, purtroppo cronicizzata, dimostrata dai giornalisti nel fare pulizia all’interno del proprio mondo.
Reticenze malcelate e paure non dichiarate, calcoli opportunistici e collusioni vere e proprie: tutte situazioni che la nostra professione vive quando si confronta con le stanze del potere e i segreti delle mafie e delle massonerie deviate e che non è stata, quasi mai, in grado di denunciare con forza per superarne le ambiguità.
Alcune di queste situazioni emergono, per esempio, dalle recenti indagini della Procura di Reggio Calabria, eppure le rappresentanze di categoria balbettano ancora nello stigmatizzarle e faticano ancora di più a rimuoverle, facendo leva sulla violazione della deontologia professionale, senza per questo dover attendere il giudicato della Corte di Cassazione.
E ancora, se Giancarlo fosse ancora vivo, forse non sarebbe più abusivo, oppure lo sarebbe ancora, perché la condizione di precarietà nel giornalismo si è diffusa nell’arco degli ultimi trent’anni e oggi testate e media vanno avanti con il contributo, spesso volontario, di un esercito di innominati che non pagano la quota d’iscrizione all’ordine, perché non campano grazie ai proventi della professione giornalistica.
In conclusione siamo però certi che se Giancarlo fosse ancora vivo, oggi ci avrebbe inviato una sua corrispondenza da Napoli o da qualche paese dell’entroterra campano per raccontarci di una scuola che apre di pomeriggio per dare alternative concrete alla strada, oppure di un sindaco che abbatte una barriera architettonica raccogliendo le richieste dei disabili del suo comune, o ancora delle tante vita strappate alla tossicodipendenza grazie all’intervento combinato di istituzioni e di privato sociale.
Ecco cosa era la “libera informazione” per Giancarlo Siani.
Ecco perché Giancarlo Siani resta, idealmente ma anche sostanzialmente, un punto di riferimento imprescindibile per il lavoro giornalistico di Libera Informazione. Per il lavoro fatto fin qui e per quello che c’è ancora da fare, perché l’informazione nel nostro Paese sia davvero libera.

Tratto da: liberainformazione.org

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