di Pietro Orsatti*
Prevedo la spoliticizzazione completa dell’Italia: diventeremo un gran corpo senza nervi, senza più riflessi.
Pier Paolo Pasolini
Da un po' di tempo mi ritrovo sempre più spesso a riflettere e a confrontarmi su cosa è oggi la mafia – intesa come insieme di tutte le organizzazioni mafiose – e la sua relazione con la politica, l'economia e la finanza. Seguire, come sto facendo da anni, l'evoluzione criminale che “si è presa” Roma mi facilita non poco nel tentare di dare senso alla nuova faccia del sistema di potere mafioso. Non solo nella Capitale ma in Italia. Perché a Roma sono presenti tutte le organizzazioni criminali da decenni, qui si sono create forme specifiche come la Banda della Magliana con la sua connessione stretta con ambienti massonici coperti come la P2 e pezzi dello Stato e soprattutto con l'area ancora del tutto non archiviata dell'eversione nera (anche se sul piano politico e anche giudiziario l'archiviazione è stata davvero affrettata). E a Roma è andato in scena a partire dai primissimi anni '70 un processo di continua negazione e rimozione della realtà. Una sorta di oscena omertà di Stato che ha consentito la presa di Roma e la nascita di un'Associazione Temporanea d'Impresa mafiosa al vertice della quale si è posta l'organizzazione guidata da Massimo Carminati e che i magistrati hanno chiamato Mafia Capitale.
E cos'è Mafia Capitale? La derivazione diretta della vecchia Banda della Magliana e di ambienti e figure dell'eversione nera a cui, poi, si sono associate figure anomale ma funzionali come Salvatore Buzzi. Mafia Capitale è la Banda della Magliana. Proprio nella figura di Carminati si individua il filo nero che collega direttamente la Banda a Mafia Capitale. La sua storia, la sua doppia spregiudicata “militanza” nel gruppo criminale romano e nelle organizzazioni eversive nere come Terza Posizione e soprattutto i NAR, il suo mettersi “a servizio” sia dei mafiosi che dei “cravattari” e del “mondo di sopra” - quello della politica, della finanza e degli apparati -, i suoi rapporti con ambienti dei servizi e con figure di spicco della politica, il suo carisma criminale indiscusso di uno accusato di tutto - dagli omicidi eccellenti fino al depistaggio di stragi come quella della Stazione di Bologna – e uscito quasi sempre indenne per il rotto della cuffia, la sua capacità di sorvolare sulle contraddizioni ideologiche e associarsi con figure ritenute “di sinistra” come Salvatore Buzzi per far andare in porto affari e aumentare a dismisura potere e guadagni: questi gli aspetti sicuramente più evidenti che gli hanno consentito, come ha recentemente dichiarato Maurizio Abbatino, di essere l'erede diretto degli anni della Banda della Magliana.
Di fatto lo scenario romano, su un piano strettamente riferito ai soggetti criminali, non è mutato dagli anni '70 a oggi. Lo so, quest'affermazione può sembrare eccessiva, ma di fatto non lo è. Anzi, la presenza mafiosa, anche sul piano militare e non solo su quello economico-finanziario legato al riciclaggio, si è fortemente radicata e strutturata. Anche grazie alla sottovalutazione dello Stato e dell'informazione. Dell'omertà di Stato, appunto, e della pigriza – che non assolve – dell'informazione non solo romana ma nazionale.
Il sistema romano ci consente di individuare con chiarezza la modernità dell'evoluzione delle mafie. E di come siano mutati i rapporti in particolare con la politica. Le mafie storicamente erano parassitarie del sistema politico. Si mettevano a servizio del potere per garantirsi sia la continuità degli affari sia l'accrescimento dei guadagni e l'impunità. Ora il rapporto sembra essersi letteralmente ribaltato. È la politica a essere parassitaria del sistema mafioso. Non è il mafioso che cerca, ma è direttamente il politico, a monte, a porsi a servizio. E questo vale sia sul piano locale che su quello nazionale. E allo stesso modo, e forse ancor più numerosi e profondamente, si mettono a servizio delle mafie funzionari e tecnici della pubblica amministrazione. Da qui la bulimia corruttiva che è emersa con l'esplodere di Mafia Capitale. E la diffusione del fenomeno si evidenzia anche dall'irrilevanza (apparente) delle cifre per le quali funzionari e politici si offrono. Spesso non grandi tangenti, ma lo stipendiuccio di poche centinaia di euro e qualche posto di lavoro per parenti, amici, mogli e amanti nelle aziende di riferimento dell'organizzazione criminale. La politica – o meglio, gli uomini politici che si pongono “a contatto” con le mafie – sembra perfino fuori dal giro grosso degli affari. Li favoriscono, ci fanno sopra una piccola cresta, ma il grosso dei soldi e del conseguente potere rimane strettamente nelle mani della holding criminale.
Qui la modernità del nuovo scenario mafioso italiano. E la sua capacità di condizionamento della cosa pubblica – e allo stesso tempo dell'economia – che gli consente di non dover esercitare il potere dell'intimidazione – se non quando è davvero indispensabile – e della violenza. Ed è proprio qui che sia la nostra percezione – e perfino l'esercizio del potere giudiziario – rischia di andare in tilt. Perché le mafie sono sempre le stesse anche se si sono evolute (anche grazie a figure come Carminati) e la percezione della loro pericolosità “fisica” si è dissolta sul fondo. Ma non illudiamoci. Con cui le mafie si sono adattate velocemente a non sparare, con la stessa velocità hanno la capacità di riprodurre la loro eredità di sangue. Come sta puntualmente succedendo a Roma con un'impressionante escalation di attentati, atti di intimidazione e ferimenti e omicidi che dopo la seconda operazione di giugno (Mafia Capitale 2) si stanno verificando nell'immenso quadrante Est della città.
La trasformazione genetica è tutta politica e amministrativa. E questo ci da la dimensiona di quanto la subcultura mafiosa sia penetrata dentro la nostra società. E quanto diventi difficile reagire in termini politici e sociali. Ma è da questa consapevolezza, dal renderci conto che siamo a un nuovo anno zero e che dobbiamo riscrivere su una nuova pagina bianca un codice di analisi e di contrasto dei fenomeni criminali mafiosi, che dobbiamo partire. E per farlo non abbiamo altra soluzione che ricominciare a fare politica dopo questo lungo riposo che ci siamo presi.
* autore del libro Roma Brucia