Mi avevano chiesto se potevo fare un video ma non ho fatto in tempo e non credo di riuscirci neanche nei prossimi giorni. L'unico momento libero che avrò nelle prossime settimane, sommerso come sono dalla promozione del libro Roma Brucia e dal lavoro sul processo Mafia Capitale e la crisi che sta attraversando Roma, riuscirò a prendermelo solo il 14 novembre per partecipare alla manifestazione #rompiamoilsilenzio. Poi sono molto più efficace scrivendo, spero, che mettendo davanti a un obiettivo la mia brutta faccia.
Nino Di Matteo è in pericolo di vita e non c'è una reazione concreta o un segnale che sia uno da parte delle istituzioni e della politica in relazione alla posizione delicatissima in cui si trova. Il sostituto procuratore di Palermo sta lavorando su uno dei processi più “pesanti” e controversi della storia italiana, quello sulla trattativa fra Stato e Mafia. È dai tempi dell'inchiesta Sistemi Criminali, poi archiviata, che non si tentava di dare senso – e giustizia - a una dei periodi più oscuri del nostro recente passato. Che le minacce si siano concentrate su di lui e su altri magistrati che stanno seguendo questo e altri processi che in qualche modo si intersecano – sto pensando al procuratore generale sempre di Palermo Roberto Scarpinato – ben ci fa capire quali siano gli interessi palesi e innominabili in gioco.
So bene che un processo è ben altro da un'inchiesta giudiziaria. So bene che la storia giudiziaria del nostro Paese spesso inciampa su stessa. So bene che sono in gioco interessi che forse non riusciremo mai a svelare e a capire fino in fondo. Ma un processo su quegli anni, su quell'incrocio stritolante di vicende che fra il 91 e 94 scardinarono certezze spargendo sangue e menzogne devono per forza di cosa trovare una sintesi. Che spero sia giudiziaria. Che pretendo sia politica e storica.
E' il silenzio che uccide, la solitudine. E' l'isolamento di chi vive già di suo da decenni isolato per motivi di sicurezza dalla società, dalla vita quotidiana di quegli italiani che uno come Di Matteo garantisce con la sua funzione di magistrato, che diventa intollerabile – e pericoloso – quando chi ti dovrebbe stare accanto, lo Stato, volta la testa dall'altra parte.
Non c'è bisogno di schierarsi per stare in piazza il 14 novembre. E' solo l'esercizio della cittadinanza.
A sabato.
Pietro Orsatti
Foto © Salvatore Contino