di Giulio Cavalli
Tutti quelli che stanno zitti ci dicano, ci spieghino e ci insegnino che Di Matteo si minaccia da solo, che si costruisce pentiti per la carriera (che però, guarda un po', nemmeno quella riesce a fare) e che le minacce sono false o non pericolose. Ma non se lo dicano nei bisbiglii davanti al caffè o nei messaggini ridanciani: ce lo dicano in faccia, ne facciano un editoriale e ci mettano la firma.
Io voglio capire, davvero, sono disposto a spaccarmici la testa sulla più grande delegittimazione, sul più vigliacco silenzio, sul più vasto galleggiamento della codardia che in questi ultimi anni d'antimafia continua a piovere in testa a Nino Di Matteo. Continuerò a scriverne disposto a consumarmi di penne, ad essere insolente o barboso ma qualcuno deve avere il coraggio di dirci perché ci si possa permettere di stare zitti.
Un nuovo pentito (Francesco Chiarello, ex boss di Borgo Vecchio) ieri ha confermato la notizia del tritolo pronto a Palermo per Nino Di Matteo: dopo Antonino Zarcone, Carmelo D'Amico e Vito Galatolo è un'ulteriore notizia sull'attentato preparato per il PM che sta indagando sulla trattativa Stato-mafia in cui sarebbero stati coinvolti pezzi importanti del nostro Paese. Il tritolo, ha precisato Chiarello, è già a Palermo. Bello pulito. Ben nascosto. Già il collaboratore di giustizia Vito Galatolo aveva illustrato come Di Matteo fosse diventato un obiettivo prioritario per Cosa Nostra a causa del suo andare "troppo oltre" non solo nel processo ma soprattutto in fase d'inchiesta. Insomma: è la solita notizia della solita morte annunciata per Nino Di Matteo, dicono alcuni.
E poiché noi siamo un Paese diventato maestro nel comunicare con i silenzi forse qualcuno, qualche "mente raffinata", crede davvero di poter sperare che l'allarme ripetuto porti ad un disincantato disinteresse generale. Mi piacerebbe capire, invece:
– se davvero i direttori dei quotidiani italiani pensano che un centinaio di chili di tritolo non siano una notizia. Se davvero nell'Italia così feticista sugli scortati non ci sia un occhiello, una mezza pagina, una foto notizia da dedicare al magistrato più isolato d'Italia. Magari al posto di qualche ricetta, della recensione di un libro di Bruno Vespa o dell'editoriale di qualche solone sull'ultima scoreggia del signor Renzi.
– se davvero nonostante cambino gli interpreti (da Napolitano a Mattarella) la Presidenza della Repubblica non abbia l'energia fiacca per stendere anche solo una solidarietà preconfezionata, di quella già cotta che non si nega a nessuno.
– se davvero Matteo Renzi, così agile per una finale di tennis, non abbia per la testa di fare un salto a Palermo, piuttosto twittandosi abbracciato e rassicurante con Di Matteo come piace a lui e alla sua narrazione da onnipresente alleato di ogni eccellenza spendibile. Oppure se non possa almeno twittare, tra un aereo e un incontro, quattro parole in croce, anche con un refuso o un errore di ortografia.
– se davvero le associazioni antimafia, quelle che contano tra la gente che conta, quelle che organizzano marce e fiaccolate, quelle che ci insegnano la mafia e anche l'antimafia, quelle che non negano la propria vicinanza a nessuno, non abbiano anche loro il tempo (e la voglia) di chiedere un segnale, di invocare un sussulto istituzionale o almeno di stampare due magliette con la faccia di Nino e una frase da diario delle medie.
– se davvero in Commissione Antimafia Rosy Bindi non abbia voglia di andare a fondo sul più grave caso di minacce continue (o mitomania) dai tempi di Falcone e Borsellino.
– se davvero le trasmissioni strappa lacrime, quelle che ci vendono il dolore un tot al chilo in prima serata, quelle per cui la mafia è l'animale brutto, sporco, peloso e cattivo che ammazza gli innocenti non trovano interessante un padre scortato per davvero, come piace a loro, con un convoglio di paura piuttosto che di rappresentanza.
Altrimenti ci sarebbe una soluzione. Semplice semplice. Tutti quelli che stanno zitti ci dicono, ci spieghino e ci insegnino che Di Matteo si minaccia da solo, che si costruisce pentiti per la carriera (che però, guarda un po', nemmeno quella riesce a fare) e che le minacce sono false o non pericolose. Ma non se lo dicano nei bisbiglii davanti al caffè o nei messaggini ridanciani: ce lo dicano in faccia, ne facciano un editoriale e ci mettano la firma.
Se dovesse succedere qualcosa, qualsiasi cosa, comunque vada a finire questa storia almeno rimarranno i nomi e i cognomi, insieme a quest'altra brodaglia di codardi.
Tratto da: fanpage.it