di Nicola Tranfaglia - 9 agosto 2013
Se, alla vigilia di un ferragosto che precede una ripresa politica - secondo le previsioni - complessa e incerta rispetto agli sviluppi elettorali, si tenta un bilancio sommario della crisi italiana rispetto alla lotta contro la corruzione, la disuguaglianza economica e l’aggressione delle mafie all’Italia delle larghe intese, gli aspetti negativi sembrano maggiori di quelli positivi. Certo, in men che non si dica, le camere hanno approvato la legge per abolire le cosiddette pensioni di oro che erano uno dei tanti scandali italiani delle indennità di manager pubblici e privati che, secondo il criterio retributivo fissato da tempo e corrispondente all’interpretazione ancora prevalente del dettato costituzionale, hanno fatto emergere retribuzioni di molte decine di migliaia di euro.
Ma occorre ricordare che, accanto a questo intervento difficile da criticare dati gli effetti molto negativi rispetto all’equità generale delle pensioni, oltre che alle esigenze pressanti di pareggio del bilancio statale fissate nel programma di governo c’è stata la resa di noti latitanti come Francesco Corallo, noto come il re delle slot machine, titolare di una società di Giochi d’azzardo, la Bplusgiocolegale ltd, che governa da anni un terzo del gioco d’azzardo legale con un giro di affari di 30 miliardi di euro all’anno ed ha rapporti non chiari con noti istituti bancari della penisola.
D’altra parte il disegno di legge approvato dalla Camera lunedì scorso e che sta per essere approvato definitivamente dal Senato si propone di incominciare a provvedere a uno dei problemi maggiori della società italiana. La profonda arretratezza del sistema detentivo italiano, più volte denunciato dalla comunità europea e da forze politiche differenti, richiede da molti anni interventi che non sono stati compiuti dai governi che si sono succeduti nell’ultimo ventennio e non sono mai stati al centro delle preoccupazioni di governi che hanno al loro interno forze populiste e di destra. Ora, e lo ha segnalato un magistrato come il sostituto procuratore di Palermo Nino Di Matteo, (più volte minacciato dalla mafia siciliana anche per essersi occupato negli ultimi anni dell’oscuro capitolo delle trattative tra mafia e stato nei primi anni novanta) in un’intervista, pubblicata da un giornale di opposizione e non ripresa dai più diffusi quotidiani e settimanali. Il giudice siciliano ha ricordato che, cambiando l’articolo 280 del codice di procedura penale, il disegno di legge 1417 di conversione del decreto legge svuota carceri del governo Letta-Alfano, ha cancellato la custodia cautelare per una serie di reati, molti dei quali sono tipici delle inchieste di mafia e in particolare per il favoreggiamento, la malversazione ai danni dello Stato o le false informazioni ai pubblici ministeri. Il legislatore è intervenuto con grande abilità limitandosi ad alzare di un anno (da quattro a cinque anni) i reati per i quali la custodia cautelare può essere applicata. Ma, in questo modo, vi rientrano reati che si applicano appunto proprio in inchieste di mafia come quelle citate nell’intervista del giudice Di Matteo. C’è da chiedersi perchè una simile modifica sia stata fatta e inserita in un provvedimento legislativo che è nato per svuotare le carceri e non per favorire l’applicazione di una custodia cautelare finora destinata il più delle volte a imputati di reati di mafia. Quel che sostiene Di Matteo richiederebbe una risposta chiara e tempestiva da parte del legislatore che finora non è arrivata. Ed è questo, ritornando al discorso sullo stato della lotta a mafia e alla corruzione che ci preoccupa ancora una volta.
In foto: il professor Nicola Tranfaglia