di Marco Travaglio - 7 luglio 2012
Per togliere dagli impicci Conso e Mancino il centrosinistra le sta inventando tutte. A costo di dimenticare che Provenzano per anni ha girato liberamente per l’Italia. E che le armi dell’Antimafia sono state spuntate una dopo l’altra
È bastato che finissero indagati due uomini di centrosinistra, Mancino e Conso, e che il Quirinale si prodigasse per Mancino, perché la trattativa fra Stato e mafia diventasse “presunta” non solo per il Pdl, ma anche in zona Pd. In prima fila nella campagna negazionista c’è l’Unità che, messi nell’angolo i cronisti, schiera il duo Pellegrino-Macaluso. Pellegrino è l’avvocato ed ex senatore dalemiano, già difensore di Previti e presidente della nota fumisteria detta Commissione Stragi (non produsse nemmeno una relazione finale). Ora questo genio delle investigazioni scrive che, se i capi del Ros negoziarono con Riina tramite Ciancimino e se Conso revocò il 41-bis a 334 mafiosi detenuti, non fu una trattativa, ma un’astuta manovra «per rallentare temporaneamente l’applicazione della norma per avere tempo di stroncare i corleonesi, come poi in effetti è avvenuto... Un arretramento tattico che non intaccava la strategia di fondo, ma era funzionale ad assicurarne il successo». Infatti, dopo l’arresto dei boss corleonesi Riina e Bagarella, Cosa Nostra finì per 13 anni nelle mani di un altro corleonese, Provenzano, divenuto intoccabile proprio grazie alla trattativa: girava liberamente l’Italia, andava a Roma a visitare il corleonese Vito Ciancimino ai domiciliari e, quando un confidente ne svelava il covo, il Ros si voltava dall’altra parte (vedere l’articolo a pag. 48).
INTANTO, PER “STRONCARE” MEGLIO la mafia, i governi di destra e di sinistra spuntavano quasi tutte le armi dell’antimafia (supercarceri di Pianosa e Asinara, pentiti, ergastolo, sequestro dei beni), come richiesto da Riina nel “papello”. Un trionfo della fermezza all’italiana: con le Br non si tratta, con mafia e camorra sì. Sempre sull’Unità, Macaluso non si limita, come Pellegrino, a giustificare la trattativa. La nega proprio: «Non si capisce dov’è e cos’è la “trattativa tra Stato e mafia”». Luigi Manconi invece non si pone il problema: sul Foglio di Ferrara e Berlusconi, sfodera «buoni argomenti antifascisti per difendere Conso e Mancino», indagati per falsa testimonianza. E, citando Giovanni Fiandaca dell’università di Palermo, domanda: «Se venisse confermato un qualche ruolo di Massimo Ciancimino in quella complicatissima trattativa (è lui stesso ad affermarlo), perché mai il figlio dell’ex sindaco di Palermo non è stato indagato per concorso esterno?». Purtroppo per Manconi (e Fiandaca), si dà il caso che Ciancimino jr. sia indagato per concorso esterno e minaccia a corpo dello Stato proprio per ciò che ha raccontato sul suo ruolo di tramite fra il Ros e il padre. Il bene informato Manconi taccia poi chi conduce o sostiene l’indagine di “moralismo immorale”, “furia giustizialista sguaiata e cinica”, “foia epuratrice”. E si associa alle «provvidenziali parole del pm romano Nello Rossi, tra i fondatori di Magistratura democratica» che, senz’aver letto un rigo di atti, «ha voluto testimoniare dell’esemplare rettitudine di Conso». E come lui altri leader di Md: Cascini, Ippolito e Palombarini. Quest’ultimo difende San Conso con una decisiva motivazione: «Non ho bisogno di vedere il fascicolo per sapere che è innocente».
D’ORA IN POI, prima di processare qualcuno, i magistrati faranno bene a chiedere a Palombarini: se per caso conosce l’imputato, eviteranno il processo risparmiando tempo e denaro. Per sapere della trattativa invece si dovrà chiedere a Pellegrino, Macaluso e Manconi. E pazienza se la Corte d’Assise di Firenze, che in ottobre ha condannato all’ergastolo il boss Tagliavia per le stragi del ’93, ha accertato che «una trattativa indubbiamente ci fu e venne, almeno inizialmente, impostata su un do ut des. L’iniziativa fu assunta da rappresentanti delle istituzioni e non della mafia». Borsellino si oppose, giudicandola «la negazione stessa della battaglia condotta da sempre con Falcone» e prevedendo che non avrebbe frenato, ma moltiplicato le stragi, come infatti avvenne nel ’93. Per questo fu ucciso. Non aveva colto l’astuzia dell’«arretramento tattico», l’ingenuo.
Tratto da: l'Espresso