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gozzo-nico-webdi Nico Gozzo - 14 marzo 2012
Ho 32 anni, una moglie che fa il mio mestiere, una figlia di 5. Sono in campagna da me, e giusto il sabato 18 luglio, il giorno prima, ho saputo che Antonella aspetta il nostro secondo figlio. Gia' parliamo dei nomi: in pole position Jacopo, che da tempo ci piaceva. Organizziamo dunque un pranzetto con una coppia di nostri amici di lunga data, per comunicare la "lieta notizia".

Facciamo anche una puntata al mare, perché il sole picchia, e il caldo non da tregua. Torniamo e, viste anche le condizioni di Antonella, decidiamo di fare un riposino. I nostri ospiti rimangono giu', nell'apposita stanza. Dopo un'oretta, sento la voce del mio amico che mi chiama, allarmato. Strano che sia salito al secondo piano. Esco assonnato mettendomi qualcosa addosso, e lui mi dice, serissimo: "vieni giu', subito".
"Cosa e' successo?" chiedo. "Una cosa terribile" mi dice lui. Già pensavo a possibili sfraceli opera del mio cane Hans, quando vedo che mi conduce davanti alla Tv. Vedo passare delle strisce sovraimpresse, che parlano di un attentato a Palermo, un altro attentato, a 57 giorni da quello di Capaci. Ecco che all'improvviso mi vedo catapultato dal mio sonnellino pomeridiano al peggiore degli incubi. Quello che tutti temevamo, la morte annunziata di Paolo Borsellino, era avvenuta.

Mi si riempiono gli occhi di lacrime. Scende mia moglie, legge anche lei le parole sulla tv, e si accascia sulla poltrona, senza parole e scoppiando a piangere. Bea, mia figlia, arriva e si preoccupa di vedere papa' e mamma che piangono. "Cosa e' successo?" chiede. "E' morto un amico di papa' e mamma", rispondiamo. Come mai ne parla la Tv, chiede lei? Perché era una persona importante, rispondo. E subito la mia mente va alle necessita' delle indagini. Chi sara' sul luogo? Da 1 mese e mezzo sono alla Procura di Palermo, così come mia moglie. Decido, con una scusa, per ottenere l'assenso di mia moglie, che non puo' muoversi, di andare subito li, in via d'Amelio. La scusa e' che devo passare da casa nostra, a 300 Mt in linea d'aria dal luogo dell'attentato, per vedere se qualcosa s'è rotto. Mi infilo in macchina, e, correndo a 200 all'ora, le lacrime agli occhi, ripetendomi "non e' possibile, non e' possibile", arrivo in via d'Amelio da Terrasini in 15 minuti. Già e' cominciata la sconcia fiera dei palermitani: frotte di persone si dirigono verso via d'amelio, pantaloncini e infradito, la sabbia ancora sulla pelle. Invadono il luogo del delitto, vengono ricacciati indietro a fatica. Cercano improbabili souvenirs. Riesco a rimanere perché sostituto procuratore. Mi aggiro come uno zombie sul luogo del delitto. Inciampo su di una mano. Reprimo un'onda di disgusto che mi prende. La rabbia mi sale dalle gambe, su per il torace, mi pizzica le mani, mi arriva alla testa.
Ma come e' possibile che tutto questo sia successo? Tutti sapevano che toccava a Paolo Borsellino. Perché lo stato non aveva tutelato adeguatamente lui e la sua scorta? Attorno a me, tra il fumo delle auto in fiamme, l'autocisterna dei vigili del fuoco che tenta di spegnere i vari focolai, le varie forze dell'ordine che tentavano di organizzare una risposta, in quella fase di confusione e scoramento...
Grida, pianti, imprecazioni contro lo stato assente. Ed attorno, assiepata, la folla di palermitani, in gita lì sul luogo dell'ultima artigliata della piovra mafiosa. Come la folla che faceva da cornice, nel medioevo, a tutte le esecuzioni capitali. Ed in fondo anche questa folla fa lo stesso. Lo scoramento e' palpabile, tra le forze dell'ordine. La confusione aumenta, c'e' il pericolo che tutto questo possa poi inquinare le indagini. Mi rendo conto di non poter fare nulla, lì.
Avvicino a casa, trovo vetri incrinati, alcune finestre spalancate dalla furia dell'esplosione. Telefono ad Antonella, anche per tranquillizzarla sulle mie condizioni. Mi ha visto andare via di casa come un pazzo. Mi dice che vari colleghi avevano chiamato. Inizialmente qualcuno aveva pensato che fosse stata lei, da poco tornata da Termini Imerese dove aveva diretto il Blitz delle madonie contro la mafia del luogo, la vittima dell'attentato, la cui enorme deflagrazione si era avvertita in tutta la città. Molti non sapevano che lì stesse la madre di Paolo. Mi dice che alcuni colleghi stanno andando in Procura. Decido di andarci anch'io. Eccomi di nuovo in quegli uffici enormi e deserti, che mi sembrano ancora più vuoti ed infidi. Le luci fioche fanno il resto. Lugubre e' la parola adatta descrivere quel luogo, quel giorno. Una immobilità che sembra indifferenza.
Mi ricordo da pochi mesi, in quegli stessi uffici deserti, la notte in cui si doveva vegliare le salme dei morti di Capaci. Quelle terribili notti insonni mi tornano alla memoria.
Avra' mai pace questo palazzaccio, penso. O ci inghiottirà tutti, uno dopo l'altro.
E salgo le alte scale, passo sotto le luci a forma di pavesino, arrivo in Procura.
Come all'inferno, un altro girone mi aspetta. Luci fioche nelle stanze, le luci sparate nei corridoi, quasi da sala operatoria. Roberto Scarpinato vaga, gli occhi sbarrati, ripetendo senza fine: siamo morti che camminano. Un collega abbraccia Antonio, attonito. Tante persone circolano con gli occhi bassi. Anche qui scoramento e rabbia si percepiscono subito. Una stanza e' aperta.

Entro nella stanza di Alfredo Morvillo, che conosco da tempo. A casa sua avevo conosciuto Giovanni Falcone. Per un capodanno spensierato. Qualche mese prima, o forse l'anno prima. Giovanni che ballava, stretto a sua moglie. Alfredo con le sue battute coinvolgenti. La bellissima ospitalità della moglie, la dolcezza della figlia di Alfredo.
Ricordo tutto questo. Ed entro da lui. Altri pochi colleghi sono li. Antonio e' uscito da poco. Rimaniamo pochi "giovani". Distrutti. Ma pronti a sapere. Lui ci dice:
"basta infingimenti, non e' più tempo di toni concilianti. Dovete sapere. Ma non credetemi sulla parola. Andate a verificare quello che dico. E se poi vedete che e' vero, comportatevi di conseguenza.
In questo paese e' in corso una guerra sporca, in cui non tutti gli amici, quelli che dovrebbero essere da questa parte, combattono davvero con noi."
Ci dice del Procuratore, dei "gemelli" che lo coadiuvano, della incredibile morsa che aveva prima stritolato professionalmente Giovanni Falcone, che aveva deciso per questo motivo di andare a Roma al Ministero; e poi lo stesso Borsellino, che era stato posteggiato in provincia, non potendosi occupare della mafia palermitana.
Ci dice degli avvocati, dei pochi amici, di alcuni collusi, dei molti lontani e critici; ci dice lo stesso dei colleghi, delle loro parole dietro le spalle, dei loro comportamenti, delle loro continue critiche. Ci dice della stampa, di certa stampa sempre pronta ad attaccare chi combatteva la mafia con argomenti superficiali e "pelosi".
"Ricordate l'argomento logoro più ' utilizzato: Un giudice non deve combattere la mafia, ma solo giudicare uomini. Cazzate. Chi e' dalla parte della legge non puo' essere neutro. Che non significa non essere equanimi al momento del giudizio."
Continua Alfredo: "c'è una guerra. E una parte dello Stato non gioca una partita corretta. Pochi gli uomini delle forze di polizia di cui fidarsi ciecamente. Molti con atteggiamento ondeggiante. Alcuni apertamente contrari, se non del tutto nelle mani dei mafiosi."
Ci parla della forza e della violenza di questa organizzazione sanguinaria, di tutti gli amici morti in quegli ultimi, incredibili, 10 anni. Ci dice che senza Giovanni e Paolo tutto era perduto.
"A meno che noi giovani non proseguiamo la loro opera", dice senza tanta convinzione, "e ripuliamo l'Italia da tutti gli sconci sepolcri imbiancati. Non fate come me", ci dice.
"All'inizio non avevo capito l'importanza della lotta alla mafia. Partite subito con il piede giusto."
Dopo pochi giorni, il documento dei colleghi della DDA, ma anche di noi allora all'ordinario: meta' procura chiedeva al Procuratore di farsi da parte.
Il CSM ci convoca, immediatamente. Partiamo per Roma, io, mia moglie, Bea. Con la paura di poter perdere il bambino in grembo. Veniamo sentiti tutti. Il CSM non ha, in realtà, voglia di fare nulla. E' il Procuratore a farsi da parte.
Torniamo a Terrasini, stanchi e depressi. Anche Jacopo ci lascia. Troppe emozioni, troppo dolore per Antonella. Troppa paura di mettere al mondo un figlio in una terra di sangue e lacrime.

E così ogni anno, insieme ai morti di via d'Amelio, io, che non ne ho parlato mai con nessuno - forse abbiamo evitato anche di parlarne con Antonella, tanto era il dolore - ricordo questo figlio mai nato, vittima anche lui, come Paolo e gli uomini della sua scorta, di un terra bellissima, violenta ed infida.

E dedico a lui il mio dolore.

Tratto da:19luglio1992.com

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