Per giorni non riesco a respirare. Il petto mi brucia, la gola mi si chiude. Vaghiamo come pazzi, sconvolti, in attesa del colpo, del comando che ci strapperà di nuovo via. Abbiamo conosciuto la guerra, sì, due interminabili anni, che ci rode come i topi rosicchiano le ossa di un cadavere, ma questa... questa è peggio, infinitamente peggio. Ci dicono di andarcene. Di nuovo. Per la quinta volta. Senti? La quinta! E questa volta, o Dio, questa volta, sappiamo che è l'ultima. L'ultima. Non torneremo. Mai più. Né domani, né tra dieci anni, nemmeno nei ricordi sbiaditi dei nostri figli.
La porta che ora chiudo dietro di me non si riaprirà mai più alla mia mano. Quel suono, legno contro legno, non è una porta che si chiude. È la mia anima che viene inchiodata nella sua bara. Sono vivo, eppure sono già sepolto.
E cos'è questo esilio? Non è un viaggio, no! È lo spogliamento dell'ultimo tremante filo dell'anima umana. Non vogliono uomini, né donne, né bambini. Vogliono ombre. Ombre che strisciano sulla polvere, senza volto, senza nome, senza memoria. Un popolo di tende! Sì, tende! Una nazione il cui destino è tela e corda, la cui massima ambizione è uno straccio che svolazza al vento. Signore, non è questa una morte più spietata della tomba? Lasciare un uomo respirare, ma derubarlo di tutto ciò che lo rende uomo, condannarlo a camminare come un fantasma che non può nemmeno morire.
La città, la nostra città, amata, tradita, sarà cancellata, rasa al suolo, ridotta in polvere. Le sue pietre sparse come cenere al vento. Le case dove i bambini litigavano, dove le madri cantavano, dove il pane lievitava caldo dal forno, tutto sparito, sparito per sempre. E poi, o Dio misericordioso, dimenticheremo. Sì, dimenticheremo! Nel tormento della sete, cercando a tentoni una goccia d'acqua, dimenticheremo le nostre strade, i nostri muri, le nostre chiavi, le nostre porte. Dimenticheremo il calore dell'inverno, il pungiglione delle notti d'estate. Dimenticheremo i vicini, i litigi, i matrimoni, le canzoni. Dimenticheremo persino di essere umani.
Dimmi, Signore, come può l'uomo dimenticare se stesso? Come può la memoria essere strappata dall'anima come la carne dalle ossa? Ricordati di noi! Ricordati di noi prima che la rottura sia completa. Ricordati degli occhi dei bambini prima che la loro luce si spenga. Ricordati delle lacrime delle madri, le stesse lacrime delle tue madri. Ricordati che abbiamo urlato, che non siamo rimasti in silenzio, che abbiamo provato con gli ultimi brandelli delle nostre forze.
E guarda, guarda con orrore l'abisso della storia: come coloro che un tempo piangevano nei ghetti, che barcollavano nei campi, che soffocavano nei forni, ora vedono i loro capi preparare il nostro esilio. Auschwitz, ne senti l'eco? Non è finita. Ritorna, muta, riappare con nuove maschere. E ora la vittima indossa il volto del carnefice. Questa è la bestemmia più infernale: che coloro che sono stati segnati dall'Olocausto vedano ora i loro leader ricreare un Olocausto.
Scrivete i nostri nomi, vi prego, vi imploro, sui vostri muri, nei vostri libri, nelle vostre preghiere. Scolpiteli nella pietra, prima che svaniscano nella polvere. Perché domani persino voi dubiterete che abbiamo mai camminato sulla terra. E quando i vostri figli chiederanno: sono mai stati un popolo? Hanno respirato? Hanno amato? Sono stati umani? Cosa risponderete allora, quando la vostra stessa memoria vi tradirà?
E Gaza, la mia Gaza, sta finendo. Sì, sta finendo. Questo è il quinto esilio, e l'ultimo. L'ultimo! Una fine più nera delle pagine più nere della storia, più oscura delle profezie più oscure che si siano mai osate immaginare. Eppure, anche mentre scrivo, attraverso lacrime che mi accecano, qualcosa rimane. Un silenzio. Un silenzio più pesante della pietra, più pesante delle tombe, più pesante persino dello sguardo di Dio. Un silenzio che divora il grido stesso, che ruggisce più forte di tutte le urla messe insieme. Quel silenzio non morirà. Vi perseguiterà. Perseguiterà il mondo. Perseguiterà Dio stesso.
Tratto da: x.com/ezzingaza
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