Pur di fronte a fatti evidenti come l’esecuzione di soccorritori e personale paramedico, il bombardamento dell’ospedale battista Al Ahli, con il sistematico bombardamento di una striscia ridotta ad un cumulo di macerie, con vittime che ormai sono quasi unicamente donne e bambini e il blocco che Israele impone all’ingresso di farmaci e beni di prima necessità a Gaza, ancora si nega legittimità all’uso di termini come “pulizia etnica” o “genocidio” per descrivere ciò che la popolazione civile palestinese (anche in Cisgiordania) sta subendo.
L’intera enclave è ormai ridotta, stando alle dichiarazioni del direttore dell’UNRWA Philippe Lazzarini, ad una zona di morte “post-apocalittica”.
Eppure, quando il segretario dell’ONU Guterrez ha parlato di Gaza ridotta ad un “campo di sterminio” ecco che subito gli storici nostrani si sono indignati, affermando che con ciò egli sminuiva l’Olocausto, il “male assoluto” per antonomasia.
Hannah Arendt ci ha però insegnato come quel “male assoluto” fosse stato opera di persone comuni, quindi fosse in definitiva “banale”, e come tale ripetibile. Certo che può infastidire il fatto che a perpetrare oggi quel “male” sia il governo di uno Stato che avrebbe dovuto accogliere proprio gli ebrei sopravvissuti allo sterminio nazista (del quale fu in vario modo complice anche il regime fascista), Stato che viene definito come “l’unica democrazia del Medio Oriente” e, in definitiva, rappresenta quel baluardo della “civiltà occidentale” che, non dimentichiamolo, ha partorito molti crimini e tra essi pure l’Olocausto!
Se ciò che stiamo vedendo a Gaza in questi mesi, in queste settimane, in questi giorni, non è effettivamente paragonabile all’Olocausto, non è tanto perché l’azione di Israele e del suo governo non sia, nella sua essenza, un’azione genocidaria nei confronti dei palestinesi, quanto per il tornante storico che stiamo attraversando. Se, infatti, la Shoah fu il prodotto (o forse sarebbe meglio dire il frutto avvelenato) di quella sterzata nazi-fascista che il Capitale diede di fronte al pericolo comunista materializzatosi con la Rivoluzione d’Ottobre del 1917, ben diverso è il contesto nel quale avviene, oggi, il tentativo di genocidio (e conseguente pulizia etnica) a Gaza. Allora si individuarono gli ebrei come capro espiatorio sul quale riversare rabbia e rancore, trasformando poi (nel pieno di una guerra mondiale, prosecuzione e resa dei conti dopo la Grande Guerra tra le potenze capitalistiche europee) la pulizia etnica nei confronti degli ebrei in un freddo quanto lucido programma di genocidio, senza che gli ebrei stessi si rendessero responsabili di apprezzabili azioni di resistenza (anzi riscuotendo spesso la collaborazione dei maggiorenti delle comunità ebraiche, con la giustificazione di evitare conseguenze peggiori). Oggi, la Resistenza palestinese (egemonizzata da Hamas ma composta anche da altre organizzazioni palestinesi) rappresenta invece un popolo che da 80 anni rifiuta fieramente di sottostare alla volontà di annientamento dell’Occidente imperialistico che, dietro il paravento dell’Olocausto, ha occupato la Palestina con il suo avamposto: Israele. L’azione di quest’ultimo, la cui mano è armata dagli USA e dall’UE, si pone sulla strada delle grandi offensive che nella storia del capitalismo hanno cercato, quasi sempre con successo (almeno dal punto di vista dell’esito sul campo), di sbarrare la strada ad un altro mondo possibile. Come non ricordare, a cinquecento anni dalla grande rivolta contadina che infiammò la Germania, il Tirolo e anche il Trentino, le parole del filosofo tedesco Ernst Bloch sull’esito di quel grande sommovimento soffocato nel sangue (e sulla sconfitta di Thomas Muntzer), laddove scriveva che “con la sua sconfitta ancora una volta venne sbarrata la strada nel mondo ad un’idea adeguatamente compresa, correttamente applicata e che aveva con autenticità preso corpo”. L’idea era quella di un “comunismo” che si richiamava al cristianesimo delle origini: “Omnia sunt communia”, affermava infatti “il Teologo della Rivoluzione” (come Bolch definiva Muntzer), precisando che “ad ognuno doveva essere distribuito secondo le sue necessità”. Nella sua “Critica al programma di Gotha”, esattamente 350 anni dopo quegli avvenimenti, Karl Marx definirà il “comunismo” quella forma sociale fondata sulla massima: “Da ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni!”.
Così come nel 1525 fecero i principi tedeschi con i loro eserciti, anche oggi, le azioni genocidarie e i piani di deportazione della popolazione di Gaza, se portati a compimento, finirebbero per sbarrare la strada ad una umanità diversa. La liberazione della Palestina dal giogo coloniale di Israele (e dell’Occidente) potrebbe, infatti, aprire una via diversa di convivenza tra popoli (proprio a partire da ebrei e palestinesi), rompendo la rigida separazione etnico-nazionale, con i suoi confini fatti da muri e fili spinati e che proprio in Palestina potrebbe rappresentare il superamento di una situazione che pare non lasciare scampo agli uni e agli altri. Ma potrebbe rappresentare pure, per l’intera umanità, una via d’uscita diversa rispetto alla contrapposizione nazionalistica in atto, destinata a portarci a replicare per la terza volta una devastante guerra mondale. Per questo penso sia fondamentale oggi sostenere la Resistenza palestinese nella sua lotta contro il colonialismo israeliano e i suoi obiettivi di pulizia etnica sostenuti dall’Occidente e, nello stesso tempo, stare al fianco di quegli ebrei (dentro e fuori Israele) che coraggiosamente manifestano e si battono contro un governo “fascista” e le sue politiche di apartheid, di pulizia etnica e genocidio. Solo così potremo costruire un movimento capace di ostacolare le nuove avventure belliche nelle quali il Capitale rischia di trascinare l’umanità e rilanciare l’ideale di una società egualitaria e rispettosa dell’ambiente che la ospita.
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