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Nella lotta alla mafia, molte donne hanno avuto un ruolo prezioso, seppur costellato di sofferenze inenarrabili e di amarezze ripetute. Sono storie trascurate e spesso sottovalutate, come è successo anche alle donne partigiane che hanno preso parte alla Resistenza.
C’è una donna che merita di essere posta al centro della memoria antimafia: Felicia Impastato.
La sua vita è carica di dolore struggente ma anche di speranza liberatrice.
Conoscere la sua storia fa bene a tutti, in particolare alle nuove generazioni. È tuttora una fonte viva di ispirazione per quanti pensano che le mafie sono una minaccia devastante per la propria libertà e per il cammino di legalità e sviluppo di una democrazia che vuole essere seria e coerente.
Non posso dimenticare un giorno in particolare che mi ha segnato per sempre: il 6 dicembre del 2000, giorno della votazione della Relazione sul caso Impastato nella Commissione Parlamentare Antimafia di cui ero presidente. La seduta di quella mattina ha segnato la storia del Parlamento: per la prima volta si riconosceva ufficialmente un depistaggio di Stato e si ammettevano responsabilità istituzionali nell’occultare il movente mafioso della barbara uccisione di Peppino Impastato.
La Relazione fu approvata e condivisa. Un raggio di sole ha squarciato il drammatico lavoro della nostra storia democratica, spesso afflitta da grigiore e ombre nere su tantissimi delitti politico-mafiosi.
Non potevamo tenere dentro di noi la frenesia per l’importante risultato. Non potevamo lasciarlo confinato nel perimetro istituzionale.
Avvertii il bisogno impellente di andare a Cinisi, direttamente da Felicia Impastato, per compiere un gesto di responsabilità e di umiltà verso una mamma che aveva sofferto l’indicibile eppure non era caduta nel fosso senza luce della sfiducia o della rassegnazione.
Arrivammo in delegazione a “Casa memoria”. Felicia Impastato era seduta nella stanza principale, dove accoglieva giovani e militanti giunti da tutta Italia, desiderosi di conoscere la storia di suo figlio Peppino.
Entrando, la vidi seduta sulla sua semplice sedia, ma sembrava comunque una regina, con il volto ancora nobile e con le rughe intrise di fatiche e lotte.
Mi inchinai davanti a lei e le consegnai la Relazione. Lei mi accarezzò e mi disse: “Mi avete fatto rivivere mio figlio Peppino”.
L’incontro con Felicia e la consegna della Relazione
Lo Stato le chiedeva finalmente scusa e le porgeva il risultato di un lavoro di inchiesta meticoloso e documentato nel quale si individuavano le vere responsabilità e il vero movente della morte di Peppino.
Felicia ha sorriso, ha compreso il valore inedito di quell’inchiesta. In quel momento la speranza prevaleva sul dolore per diventare scelta politica di impegno per la liberazione dalle mafie.
Quanti di noi di fronte ad un torto subito dallo Stato imprecano e maledicono contro le istituzioni e gli apparati politici? Quanti in mille occasioni quotidiane perdono speranza nella giustizia e nella democrazia?
Eppure lo Stato con lei si era comportato malissimo. Dopo la morte di Peppino, i familiari mafiosi venuti dagli Stati Uniti erano pronti alla vendetta. Lei rifiutò nettamente tale ipotesi. Nel comprendere la portata di questa scelta, non dimentichiamo mai come fu ucciso Peppino.
Le indagini invece presero una cattiva piega. Per lo Stato, Peppino era un terrorista oppure un suicida. Si applicò la tecnica del “mascariamento” tanto cara alla mafia. Altro che solidarietà verso una mamma trafitta dal dolore e comunque pronta ad una scelta di fiducia verso il percorso democratico della giustizia!
Felicia sarebbe potuta ritornare sui suoi passi. Avrebbe potuto farsi vincere dal dolore e dalla rabbia verso lo Stato. Invece, come in una Via Crucis, si prese la croce sulle spalle e tappa dopo tappa, con mille altre sofferenze, insieme all’altro figlio Giovanni e a sua moglie Felicetta, ai compagni di Peppino, con in testa Umberto Santino e la moglie Anna Puglisi del Centro Siciliano di Documentazione Giuseppe Impastato giunse sino ad una sorte di resurrezione.
Ecco, la storia di Felicia va letta attraverso le sue scelte così profonde, di rottura e colte.
Non era una donna di scuola. Eppure era partecipe di un’intelligenza culturale e politica di alto livello.
Aveva sposato un marito legato ad una famiglia mafiosa eppure non si era fatta ingabbiare dal modo di pensare e agire omertoso e complice che la mafia assegnava alle donne.
Era dalla parte di Peppino per amore di mamma, senz’altro. Ma quell’amore è stato capace di essere una sorgente liberatoria dalla violenza e dal potere mafioso. Un amore ricco di valori e di tensione verso il cambiamento, come aveva ben compreso attraverso le scelte difficili e così contrastate di Peppino.
Ricordiamo allora Felicia Impastato. Ci ha lasciato il 7 dicembre del 2004, alla vigilia della Festa dell’Immacolata. Anche Lei, nella sua umanità terrena, lo era.

Tratto da: giuseppelumia.it

Foto © Archivio Letizia Battaglia

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