Vincenzo Musacchio vive in Molise tra Portocannone e Larino. Non ha mai abbandonato la casa che fu un tempo dei suoi bisnonni piena di luce, riposante, immersa nella natura. “Sono molto felice di vivere nel luogo dove hanno vissuto tutti i miei familiari. Si respira un’aria diversa”.

Che cosa ricorda dei luoghi dove è nato e ha vissuto la sua infanzia?
Io sono nato a Termoli in Molise. Ho vissuto gran parte della mia vita a Portocannone, un paese di origini albanesi, dove fino a pochi anni fa tradizioni e valori della comunità “arbereshe” erano un bagaglio culturale irrinunciabile. Avevo il mare a pochissimi chilometri e da piccolo con i miei amici mi recavo a piedi o in bicicletta anche solo per fare una semplice passeggiata e bagnare i piedi in acqua. Ricordo la spensieratezza, lo studio e il rispetto delle persone. Ricordo anche le passeggiate con i miei amici, qualche marachella, tanta spensieratezza e gioia di vivere. Erano altri tempi dove i rapporti umani erano intensi e longevi.

Cosa ricorda dei suoi studi?
Ho studiato a Larino frequentando il liceo scientifico “D’Ovidio” e ho avuto professori che hanno contribuito molto alla mia crescita morale, culturale e sociale. All’Università di Teramo ho avuto la fortuna di avere come docente di diritto penale il professor Vincenzo Scordamaglia. È stato per me un incontro importante perché mi ha consentito di fare un percorso di studio che mi ha portato alla tesi di laurea sui temi della lotta alla mafia dal titolo “Appalti pubblici e normativa antimafia”. Nel 1992 diventai il più giovane docente a contratto d’Italia e da allora non ho mai più smesso di occuparmi di lotta alle mafie e di diritto penale.

Come era la sua famiglia? Che ricordi ha?
Mio padre era agricoltore e mia madre casalinga. Con noi viveva una zia che era professoressa di italiano, greco e latino e in più ho un fratello che oggi è medico. Ai miei tempi l’azienda agricola di famiglia costruita da mio nonno emigrante negli Stati Uniti ci ha consentito una vita agiata. Poi il settore agricolo è andato in crisi ma fortunatamente io avevo già cominciato a lavorare, tuttavia, l’azienda agricola andò in crisi e con tutti quei terreni (15 ettari) si vivacchiava.

Che tipo di educazione ha ricevuto?
Da bambino mi è stato insegnato il rispetto dell’altro, l’onestà e il senso del sacrificio per ottenere dei risultati. Per i miei genitori questi erano valori intoccabili, così mi sono stati trasmessi e nella mia vita ho sempre cercato di applicarli.

Come ricorda la sua prima infanzia?
Quella è legata molto ai miei nonni paterni e materni. Ricordo i loro racconti di vita, il profumo di un sapone che si chiamava Palmolive usato da mia nonna paterna e le sigarette di mio nonno che oggi non esistono più e si chiamavano “Macedonia”. Le mie merende: uovo sbattuto con lo zucchero, pane olio e pomodoro e qualche volta la cioccolata Duplo.

Ricorda il suo primo amore?
Certamente. Era nella mia classe alle elementari e si chiamava Vincenza. Fu ovviamente un amore idilliaco mai confessato.

Il suo primo amore confessato invece?
Beh, quello arrivò molto tardi a 19 anni, ero già all’Università.

Fu con lei la prima volta?
Si. Anche in questo non sono stato precoce. Ma l’amore vero l’ho scoperto con la madre di mia figlia. Prima non sapevo cosa fosse. Quando lei mi disse “ti amo”, fu come se si fosse aperto un nuovo orizzonte nella mia vita. Pensai: voglio un figlio con lei. Mi sentivo davvero amato. Essere amati è bellissimo. Come tutte le vicende della vita terrena questo amore è finito.

Poi è nato questo figlio?
Sì, è una figlia e si chiama Isabella che vuol dire “voluta da Dio”.

È innamorato attualmente?
No, sono single e sto bene così anche se devo riconoscere che innamorarsi è tra le cose più belle che possano capitare ad un essere umano.

Coltiva qualche hobby?
Attualmente no, ho poco tempo a mia disposizione e quello che ho lo dedico totalmente a mia figlia. In passato ero un ottimo giocatore di biliardo e un ottimo pilota di kart. Se avessi continuato credo che in entrambi gli sport avrei conseguito risultati soddisfacenti.

Ha mai avuto vizi tipo le droghe o altro?
Credo l’unico vero vizio sia stato il fumo che ha accompagnato la mia vita fino a quindici anni fa. All’Università ho fumato uno spinello ma solo per provare come fosse. Non mi ha interessato poiché mi sembrava fosse meglio la sigaretta.

Ha avuto nella sua vita episodi che l’hanno fatta soffrire?
Credo non esista persona umana che nella sua vita non abbia mai sofferto. Il primo grande dolore è stata la morte di mio padre. Poi mia madre, mia zia paterna che viveva con la mia famiglia e poi il mio cane Diana che da piccolo ho visto morire di vecchiaia e da allora non ho voluto più un cane come amico di vita.

Torniamo alla vita sentimentale, quante donne ha avuto?
Poche.

Di quante si è innamorato davvero?
Due. Con le altre tuttavia sono rimasto in contatto.

Una delle due è sua moglie presumo?
Non mi sono mai sposato.

Come mai?
Non credo che per amare ed essere amati occorra il matrimonio.

Con sua figlia che rapporto ha?
Meraviglioso. L’ho cresciuta io e il nostro rapporto è diventato sempre più intenso e rinnovato nel tempo. Avendo vissuto una separazione pensava spesso che anche io la potessi abbandonare. Oggi mi dice che sono il suo eroe, in realtà ho solo fatto ciò che potevo nel miglior modo possibile.

Ha molti amici?
No. Ne ho pochissimi ma fedeli e mai invidiosi.

Ha nemici?
Credo di sì. Molti, più che nemici sono invidiosi. Aveva ragione Montanelli: “Quando un italiano vede passare una macchina di lusso il suo primo impulso non è averne una anche lui, ma tagliarle le gomme”. Invidia tutta all’italiana che onestamente non riesco a comprendere.

Torniamo alla sua persona. Qual è il suo cantante preferito?
Ne ho due: Fabrizio De André e Giorgio Gaber.

Il suo film preferito?
Anche in questo caso due: C’era una volta in America di Sergio Leone e I ponti di Madison County di Clint Eastwood.

Libro preferito?
Uno, nessuno, centomila di Luigi Pirandello.

Piatto preferito a tavola?
Pasta fatta in casa con fagioli e le orecchiette con le cime di rapa che faceva mia mamma da buona pugliese quale era.

Squadra di calcio del cuore?
Non seguo questo sport, solo automobilismo e motociclismo. Da piccolo però tifavo Cagliari e adoravo Gigi Riva. Seguo la Nazionale italiana.

Quindi adora l’automobilismo ed il motociclismo?
Esatto. Ho posseduto oltre trenta macchine e sette moto. Quando potevo andavo a vedere la Formula1. Ero a Imola nel 1994 quando morì Ayrton Senna.

Il suo pilota preferito?
Non ho dubbi: Gilles Villeneuve nella Formula1 e Giacomo Agostini nelle moto.

Come nasce la sua passione per le materie penalistiche e in particolare per lo studio delle mafie?
Dalla mia tesi di laurea in diritto penale che riguardava gli appalti e le infiltrazioni mafiose. Da allora, era il 1992 non ho mai più abbandonato il settore.

I suoi incarichi e le sue collaborazioni, soprattutto fuori dall’Italia, non si contano, quali ritiene siano stati i più proficui?
Parto dal presupposto che “nemo propheta in patria sua” per cui le maggiori soddisfazioni sono arrivate dall’estero. Presentando il mio curriculum studiorum sono diventato associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies di Newark negli Stati Uniti d’America occupandomi principalmente dei sistemi di lotta alla corruzione nella pubblica amministrazione. Con le medesime modalità concorsuali sono diventato ricercatore presso l’Alta Scuola di Studi Strategici sulla criminalità organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Il più bel riconoscimento in assoluto tuttavia proviene dal mio Paese. Nel 2019 a Casal di Principe mi è stata conferita la menzione speciale al Premio Nazionale “don Peppe Diana” dai familiari del sacerdote assassinato dalla camorra. Un’emozione ineguagliabile e irripetibile. Nel 2019 il Presidente della Repubblica mi ha insignito del titolo di Cavaliere della Repubblica italiana dell’Ordine al Merito per la mia attività antimafia.

Lei, giovanissimo studente in giurisprudenza, ricevette anche una lettera di Giovanni Falcone, che impressione ebbe quando la lesse?
Ho ancora in mente il giorno in cui trovai la lettera sotto il portone di casa. Non avevamo ancora la cassetta postale e il postino infilava le lettere sotto la porta. Era una busta bianca con intestazione blu proveniente dalla Procura della Repubblica di Palermo. Un profumo agrodolce misto all’odore di tabacco impregnava la busta. La aprii, il profumo aumentò, mi tremavano le mani perché immaginavo il suo contenuto, cominciai a leggere la sua lettera: “Caro dott. Musacchio, innanzitutto grazie per la bella lettera che mi ha inviato. Anche io come lei sono convinto che il mio posto sia a Palermo (io ero contrario a che Falcone lasciasse la Procura) ma ci sono momenti in cui occorre fare delle scelte e impiegare tutte le energie possibili per la lotta alla mafia. Mi creda il mio non è un abbandono. Continui a credere nella giustizia, c’è tanto bisogno di giovani con nobili ideali. Cordialmente, Giovanni Falcone”. Quella lettera fu allora ed è ancor oggi un invito ai giovani, in qualsiasi luogo e situazione si trovino, a rinnovare l’incontro con la legalità, con Giovanni Falcone, a prendere la decisione di cercarlo ogni giorno senza sosta come esempio da seguire. È necessario essere consapevoli che per sconfiggere le illegalità, l’unica via consiste nell’imparare a incontrarsi con gli altri e lottare insieme. Questo fu il suo messaggio.

Lei ha conosciuto e collaborato con Antonino Caponnetto, che ricordo ha di lui?
Gli piaceva lo chiamassi nonno Nino e per me è stato eccezionale, di un’umanità ineguagliabile e di una grande bontà d’animo, pari alla sua rettitudine morale. Un uomo capace di essere autorevole e spiritoso al tempo stesso. Grazie all’intercessione di Maria Falcone riesco a contattarlo e portarlo a Termoli come relatore sul tema “La lotta alla criminalità organizzata nello Stato di diritto: problemi e prospettive”. Parlammo tanto nei nostri incontri e ho memoria del fatto che più volte sottolineò che Falcone e Borsellino diventarono eroi nazionali soltanto dopo la loro morte. Mi disse che tutti gli attacchi subiti facevano molto male a Falcone, anche se lui non lo dava a vedere. Mi raccontò della sua mancata nomina, dopo il suo pensionamento, a capo dell’ufficio istruzione di Palermo. Il Consiglio Superiore della Magistratura gli preferì Antonino Meli. Il che era legittimo ma sconcertante non con il senno del poi, ma già con quello che avrebbe dovuto guardare ai risultati del maxiprocesso. Tutto il pool antimafia non riusciva a comprendere come fosse possibile sbagliarsi così tanto su Falcone e Borsellino mentre erano vivi! Su Paolo Borsellino mi raccontò che sapeva di essere nella lista della mafia e che il tritolo per lui fosse già arrivato a Palermo. Mi raccontò che Borsellino aveva chiesto già un mese prima della strage alla Questura palermitana di voler disporre la rimozione degli autoveicoli dalla zona antistante all’abitazione della madre. Era affranto e incredulo su questo fatto. Gli domandai della sua frase straziante alle telecamere subito dopo la Strage di via d’Amelio: “È finito tutto!”. Mi rispose che in quel momento avrebbe voluto morire anche lui. Evidenziò il rammarico per quella frase detta in un momento di sconforto e mi disse che quelle parole da allora in poi dovevano essere un motivo in più per farsi coraggio, per riprendere le forze e la speranza, e lavorare sul cambiamento culturale e sulla lotta alla mafia. Caponnetto diventò il primo rappresentante della società civile, girò l’Italia in lungo e in largo per testimoniare nelle scuole la sua esperienza e portare avanti le idee dei magistrati uccisi dalla mafia. Ci sentimmo molte volte, ebbi il privilegio di avere il telefono di casa a Firenze dove se non ricordo male, abitava in Via Baldasseroni e partecipammo insieme ad alcuni incontri soprattutto con gli studenti. Quando ripenso a quei momenti, mi pervade un’enorme sensazione di felicità. Quando il 6 dicembre del 2002 morì in un ospedale fiorentino piansi come quando si perde un familiare. Ancora oggi mantengo la promessa che gli feci e che lui direttamente mi chiese di mantenere. Mi disse: Vincenzo mi devi promettere una cosa… Spero di onorare la mia promessa e mi auguro che da lassù lui mi possa guidare.

Che cosa le chiese di promettergli Caponnetto?
Non l’ho mai detto a nessuno perché fu un momento molto intimo che vorrei restasse tale, ma credo non sia difficile poterlo intuire.

A lei è mai capitato di temere per la sua vita?
Ho subito qualche minaccia e per un periodo ho avuto anche la sorveglianza dell’abitazione ma nulla di realmente preoccupante. Io sono uno studioso, un teorico. Devo dire però che stranamente le uniche minacce arrivarono proprio quando mi occupai dei rapporti tra mafia e politica.

Qual è il lascito morale di uomini come Caponnetto, Falcone e Borsellino alle nuove generazioni?
Penso che sia indispensabile che i giovani conoscano questo pezzo di storia del nostro Paese e comprendano quale forza morale e sociale avessero uomini come Caponnetto, Falcone e Borsellino, il cui obiettivo primario era la difesa dello Stato e delle istituzioni, nell’interesse della democrazia e del bene comune. Oggi troppo spesso si agisce in nome di interessi personali ed egoistici.

Dopo il sacrificio di Falcone e Borsellino, la lotta alla mafia ha fatto progressi?
Penso che dopo la morte di Falcone e Borsellino la lotta alla mafia non sia stata più una priorità dello Stato. Si è abbassata la guardia dando occasioni a queste organizzazioni di agire e di fortificarsi nel silenzio più assoluto. Questa a mio avviso è una delle colpe più grandi dei vari Governi che si sono succeduti negli anni compreso quello vigente. Bisogna diffidare di tutti quelli che dicono che le mafie sono state sconfitte. Non solo non sono state sconfitte ma sono più forti di prima, solo che fanno meno rumore.

Che rapporto ha con la politica?
Ho militato nel Partito Comunista Italiano. Con il suo scioglimento ho stentato a trovare una adeguata collocazione partitica.

Posso farle una domanda molto intima? Si è mai innamorato di un uomo?
No. Questo tuttavia non vuol dire che giudico il fatto contro natura o altre baggianate simili. Credo che ognuno di noi sia libero di vivere la propria sessualità come meglio creda. Se mi fossi innamorato di un uomo di certo non avrei avuto alcun problema nel dirlo e vivere pubblicamente il mio amore.

Cosa ne pensa del nostro premier Giorgia Meloni?
No comment.

E della Schlein?
No comment. La sua politica non rappresenta la mia idea di sinistra.

Cosa pensa di Salvini e delle sue politiche?
Sono esattamente opposte alle mie.

Di Berlusconi, invece, cosa pensa anche se ormai non c’è più?
In un paese diverso dall’Italia non avrebbe mai fatto il Presidente del Consiglio.

Possiamo dire che Lei ha avuto una vita felice?
Sì, molto felice.

Qual è il segreto della felicità?
Non lo so. Credo sia come nel gioco della roulette: deve uscire il tuo numero.

Le piace l’Italia di oggi?
No! Non mi piace il mondo di oggi retto dal denaro, non c’è altro, tutto ruota intorno ad esso. Non è questo il mio mondo.

Crede in Dio?
Sono agnostico convinto. Credo ci sia sopra di noi un creatore. Non credo nelle religioni. Aveva ragione Karl Marx sono l’oppio dei popoli.

Professore pensa qualche volta alla morte e ha paura?
Non penso mai alla morte e non ne ho paura. Temo moltissimo invece la malattia e soprattutto quella che non mi faccia più essere quello che sono.

In che senso?
Intendo una malattia che mi renda un vegetale o comunque non più capace di intendere e volere. In tal caso preferirei morire o poter scegliere di morire.

Perché?
Perché preferisco avere la mente lucida e il corpo infermo e non il contrario.

In Italia però non c’è l’eutanasia.
Andrò all’estero o chiederò aiuto a qualcuno che mi faccia andare via da questo mondo.

Come immagina l’aldilà?
Non lo immagino. Se esistesse però mi piacerebbe rivedere i miei affetti più cari, compresi i miei animali.

Come vorrebbe essere ricordato?
Come una persona onesta e ligia ai suoi doveri. Spero di essere ricordato soprattutto dai miei studenti ai quali davvero ho donato gran parte della mia esistenza.

Grazie professore.
Grazie a lei.

Vincenzo Musacchio, criminologo, docente di strategie di lotta alla criminalità organizzata transnazionale, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). È ricercatore indipendente e membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni Ottanta. È tra i più accreditati studiosi delle nuove mafie transnazionali. Esperto di strategie di lotta al crimine organizzato. Autore di numerosi saggi e di una monografia pubblicata in cinquantaquattro Stati scritta con Franco Roberti dal titolo “La lotta alle nuove mafie combattuta a livello transnazionale”. È considerato il maggior esperto europeo di mafia albanese e i suoi lavori di approfondimento in materia sono stati utilizzati anche da commissioni legislative in ambito europeo.
  

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