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Si moltiplicano i cavilli per evitare che la consigliera meloniana lasci l’incarico. Il suo caso, come l’inesistente inchiesta su Arianna Meloni, provano il teorema della destra che pretende la totale immunità.

Per uno scandalo finto - la fantomatica inchiesta su Arianna Meloni - ce n’è uno vero, lo scandalo Natoli al Csm. Ma l’uno e l’altro, paradossalmente, rivelano la stessa idea di giustizia del centrodestra. La scure dei giudici e delle polizie con il manganello pronto deve esistere solo per i cittadini comuni, per i potenti invece c’è la piena immunità. Il caso Arianna è l’invenzione di una destra che la pretende per grazia ricevuta. Quella che spettava a re e regine in un lontano passato.
Il caso Natoli invece esiste, lo dimostra la registrazione depositata in procura dall’avvocato Carlo Taormina. Eppure, per il centrodestra non “esiste” da un mese, tant’è che la signora Natoli è ancora al suo posto di consigliera del Csm.
Da giudice ha incontrato la sua imputata per "discutere" la sentenza disciplinare.
Cosa avrebbe fatto il centrodestra se un magistrato avesse visto un suo imputato per “combinare” l’esito del processo? Nordio sicuramente se ne sarebbe uscito con una delle sue massime, della serie “i miei colleghi vanno puniti sempre e comunque”. Bene, lo scenario è questo. Ignobile. Natoli si può tuttora fregiare del titolo di consigliera. Nonostante il garbato invito di Mattarella ad andarsene. La circonda un tombale silenzio dei suoi colleghi del centrodestra al Csm e della maggioranza politica dello stesso segno. Non si curano affatto di quanto è accaduto, ma si preoccupano solo di perdere quel posto in vista delle votazioni e delle maggioranze possibili per accaparrarsi i ruoli di vertice della magistratura. Senso delle istituzioni zero. E spuntano per giunta presunti mezzucci per far restare Natoli al suo posto. Come il riferimento a una norma Cartabia per la quale l’iscrizione nel registro degli indagati non può determinare effetti pregiudizievoli di natura civile o amministrativa. Norma garantista che qui non c’azzecca nulla perché le dimissioni hanno a che fare con l’onore. Che esigerebbe un passo indietro spontaneo per via di un comportamento inaccettabile venuto a galla. Un passo “spintaneo” avrebbe detto Antonio Di Pietro. Superfluo che sia stato cancellato l’abuso d’ufficio, visto che resta comunque la rivelazione di un segreto.
Meraviglia persino che si possa discutere su argomenti simili al Csm. Dove sono stati “dimessi”, per via del caso Palamara, cinque consiglieri colpevoli di aver partecipato a un incontro sulla nomina del procuratore di Roma. Vicenda grave, ma non quanto la chiacchierata di Natoli con la giudice civile Fascetto Sivillo sotto procedimento disciplinare. Ma, ai tempi del caso Palamara, era soprattutto la destra a chiedere le dimissioni dell’intero Csm. Quel centrodestra da sempre nemico non dei soli giudici, ma della giustizia in generale. Perché la ipotizzano solo per i poveri cristi, e con la logica da vecchio regime ritengono che re e principi ne debbano essere del tutto immuni. Al re tutto è consentito, anche tagliare la testa ai sudditi. Quindi che Natoli resti al suo posto. Una concezione primordiale delle istituzioni. E proprio il caso Natoli dimostra in modo perfetto questa logica delirante. C’è poco da discutere sui fatti. Soprattutto quando non sono il frutto di una diceria. Qui esiste una prova, un nastro, 130 pagine di trascrizione che raccontano chi sia davvero la consigliera del Csm Rosanna Natoli. La procura di Roma farà il suo lavoro, il procuratore Francesco Lo Voi è garanzia di equilibrio per la sua storia personale, ma nel frattempo un’istituzione come il Csm dev’essere salvaguardata. E il titolo di consigliera di palazzo Bachelet – si badi, stiamo parlando del giurista Vittorio Bachelet - non può spettare a chi ha dimostrato di comportarsi in modo privatistico all’interno di un’istituzione che vede al vertice il capo dello Stato.
È scandaloso, ma anche angosciante, per un cittadino italiano che rispetta i codici, rendersi conto di cosa può diventare la giustizia nelle mani di chi la esercita solo per raggiungere i suoi obiettivi. Separare le carriere perché i magistrati siano più deboli; fiaccare il Csm perché non abbiano uno scudo; scegliere consiglieri che non hanno il senso delle istituzioni; proteggere comunque la casta, come dimostra la decisione di cancellare l’abuso d’ufficio per salvare gli amministratori scorretti ai quali si vuole regalare anche una legge Severino ammorbidita. In quest’atmosfera rarefatta s’ingigantisce il caso Natoli. Una consigliera che avrebbe dovuto lasciare il Consiglio superiore un minuto dopo la pubblicazione sui media della sua storia. In questa vicenda non c’è nulla da scoprire che non sia già evidente nella registrazione che Taormina ha depositato al Csm e che da qui è stata inviata in procura. La giustizia farà il suo corso, e dovrà farlo, anche se Nordio ha cancellato l’abuso d’ufficio, ma nel frattempo quel posto dev’essere occupato subito da un altro consigliere che sia degno di quel titolo e di stare in un’istituzione che non dev’essere macchiata dal disonore. I laici del centrodestra che vogliono mantenere in sella Natoli, per il solo fatto di ipotizzarlo, dovrebbero essere mandati a casa con lei.

Tratto da: La Repubblica
  
Foto © Imagoeconomica

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