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anni venti ponte salvini musUn crucco padano a Messina, un fascista siciliano in Romagna. L’unità d’Italia, ma al contrario. Mentre la strage quotidiana diventa “normale”

Un fascista siciliano nella Romagna alluvionate: “Il governo non è un bancomat!” schernisce. In Sicilia, invece, un crucco padano: “Faremo il Ponte!”; e appaltatori e mafiosi già si affilano i denti.
Nel medesimo istante, i ragazzi romagnoli spalano disperatamente nel fango, coraggiosi e civili, come la loro terra. A Messina, frattanto, i giovani protestano civilmente, responsabili e soli, contro l’inutile affare, inutile per la regione dai treni pochi e lenti, ma utilissimo per gl’intrallazzi. Di rado le due Italie si videro tanto in contrasto e così in piena luce: l’una egoista e decrepita, l’altra giovane e generosa. Non più solo questione di governi, ma proprio di anima doppia, storica, del paese.

Conte e Salvini, Meloni e Schlein: non più solo politici ma emblemi della nostra storia; maschere indimenticabili, in questa commedia dell’arte, della Nazione. L’avvocato “progressista” ma cinico, uomo d’ogni stagione; il feroce fascista meneghino; la domina da basso impero, vagante fra volgarità provinciali e strabuzzamenti minacciosi; la ragazza benevola, civile, buona e di buone letture, fra amici lontani e traditori vicini: nessuno di questi personaggi è casuale nè può più ammettere neutralità. Noi, riluttanti ma decisi, diamo una certa fiducia alla giovane, nonostante i vecchi e recenti orrori del suo partito; persino col partito grillino bisogna pur fare i conti, nonostante l’assoluta inaffidabilità dei suoi capi e della sua cultura. Ma è già troppo, per chi appartiene al mondo della politica vera, dedicare pensieri seri alla “politica” astratta e disperata di questi anni.

Intanto, nel nostro mondo, un Auschwitz quotidiano ingombra il mare. Siamo alla strage, non alle stragi episodiche ma proprio a quella continua, per cui verremo giudicati. Al funerale dello sceicco, italiano o arabico, si oppone il non-funerale delle vittime, operai scivolati o emigranti affogati; una distratta pietà, ma molto riluttante, accoglie tutt’al più l’ammazzamento dei bambini; ma poi silenzio, silenzio e “normalità”, come nei dintorni di Dachau o di Bergen-Belsen.

Una parte dei giovani si ribella oscuramente a tutto questo; ma lo fa malamente, con entusiasmo ma senza continuità o organizzazione. Penso ai miei carissimi amici di Palermo, picchiati dal governo perché osavano ricordare Falcone (con l’avallo, incredibile, di chi avrebbe dovuto baciarli in fronte); cosa faranno adesso, con quale civile azione reagiranno? Ne stanno discutendo e discutono da quindici giorni, divisi in gruppi e correnti, angeli che discutono di teologia mentre la fiamma infernale già brucia le ali. A Catania, neanche questo: serissimi e appassionati convegni e discussioni, ma complimenti e disinteresse per gli uomini di Scidà e Pippo Fava.

Un quarto del paese serve o subisce attivamente, un quarto si oppone ma sparpagliato e scoraggiato. Che parole volete? Unitevi, state insieme, non perdete altri giorni, organizzate! Ancora siete in tempo, se davvero volete, a salvare il paese.

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