Come ogni delitto “comune” (cioè estraneo al mondo del potere), anche l’omicidio di Giulia Tramontano confessato da Alessandro Impagnatiello sta mandando in cortocircuito l’impalcatura del “garantismo” all’italiana: quell’armamentario di gargarismi e slogan insensati che scatta appena viene beccato un colletto bianco. A nessuno viene in mente di ricordare che il reo confesso è un “presunto innocente”: eppure, per la legge e la Costituzione uguali per tutti, lo è anche lui. Nessuno si sogna di protestare per la pubblicazione di verbali e chat, di invocare il segreto o la privacy dei “terzi” citati nelle carte e negli sms: infatti è materiale depositato e dunque non segreto; ma, se al posto di Impagnatiello ci fosse un Vip, la stampa traboccherebbe di sdegno e il Parlamento di interrogazioni. Dal ministero della Giustizia partirebbero ispezioni e azioni disciplinari contro i magistrati, nonché riforme urgentissime contro le pubblicazioni e le manette “facili”. E figurarsi gli alti lai delle vergini violate se una conduttrice della Rai desse del “mostro” a un tangentaro preso con le mani nel sacco: sparirebbe dal video per sempre. Invece Mara Venier l’ha detto del barista milanese, e morta lì.
Intendiamoci: se uno confessa un delitto così efferato sepolto da una montagna di prove, ciascuno è libero di giudicarlo come crede. Semmai c’è da interrogarsi sul motivo profondo del surplus di accanimento verbale, mediatico, voyeuristico che accompagna queste efferatezze. È lo stesso motivo che porta i media e i politici a inventare sostantivi, aggettivi e fattispecie di reato sempre più pesanti per qualificare la condotta che è già (e da sempre) giudicata e sanzionata come la più grave di tutte: l’omicidio volontario. Oggi, se a morire è una donna, si parla di “femminicidio”, con tanto di norme specifiche, come se la gravità dell’atto dipendesse dal sesso della vittima. E come se i parenti fossero più sollevati o meno afflitti sapendo che l’omicida è un “femminicida”, un “mostro”, una “bestia”, che “deve morire” o “marcire in galera” ecc. La verità che nessuno osa confessare è che si cerca di colmare con paroloni e riforme-spot l’abisso fra le pene previste dal Codice, quelle inflitte nelle sentenze di condanna e quelle scontate in carcere (al netto di attenuanti, indulti, scappatoie, cavilli, benefici penitenziari, liberazioni anticipate, misure alternative, sconti per buona condotta e “giustizia riparativa”). Come ha scritto il pm Sebastiano Ardita, Impagnatiello è l’ennesimo assassino che fra dieci anni uscirà dal carcere a norma di legge per rifarsi una vita. E, se sarà ancora famoso, scriverà sul Foglio o sul Riformista o sull’Unità. Perciò fanno tutti a gara nel condannarlo a parole: perché sanno che presto la farà franca nei fatti.
Tratto da: Il Fatto Quotidiano
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