La trattativa, la vicequestora, il bestio, Draghi
La trattativa
Difficile intervenire su argomenti di cui si poteva e si potrebbe dire e scrivere tanto. In compenso lo hanno fatto in tanti altri sbrodolando fiumi di parole spesso inutili o vomitate tanto per far polemica. E di argomenti ce ne sono stati, in questi ultimi giorni: primo fra tutti l’oscena sentenza sulla trattativa stato-mafia. Non convinceva già la definizione, come se lo stato e la mafia fossero due entità diverse e contrapposte che in questo caso hanno trattato. Sappiamo benissimo che la mafia non è nemica di questo stato, ne è una sua componente, ne è il braccio armato, il serbatoio di voti, il canale attraverso cui far confluire e mettere in circuito i flussi di denaro legali e illegali. E quindi di che cosa parliamo? Di un falso problema e di una falsa definizione. Ma se proprio dobbiamo attenerci alle due immagini di cui una dovrebbe essere la negazione dell’altro, anche qui i conti non tornano, a partire dagli accordi di Garibaldi col borbonico generale Landi, alla vendita dei beni della Chiesa, finiti nelle mani di ricchi borghesi siciliani, con i soldi della vendita dirottati al finanziamento dell’apparato industriale del Nord: andiamo avanti con le finte commissioni d’inchiesta sul fenomeno della mafia e le strategie del liberalismo italiano, pronto a indirizzare le politiche governative per la conservazione dei propri privilegi. E ancora trattative sopra e sotto traccia si trovano dietro i presunti mandanti dell’omicidio Notarbartolo, dietro il processo al federale Cucco, accusato dal prefetto Mori di collusioni mafiose, e assolto con giubilo di tutti, quindi, con l’avvento del fascismo, dietro i nuovi gerarchi siciliani, i mafiosi col fez, poi diventati mafiosi a stelle e strisce con gli accordi con gli americani al momento del loro sbarco. Continuando passiamo per la strage di Portella della Ginestra, quella dei sindacalisti siciliani assassinati, le ricorrenti assoluzioni dei boss mafiosi nei vari processi, la strategia della tensione, i depistaggi degli assassini di Piazza Fontana, di Piazza della Loggia, dell’Italicus, della stazione di Bologna, per arrivare alla lunga scia di morti tracciata da Totò Riina, ecc. ecc. Non mancano, dovunque ci si giri, esempi di accordi spesso criminogeni Quindi da questo aspetto la sentenza è ripugnante, perché ammette una cosa che non dovrebbe essere mai ammessa in uno stato di diritto, ovvero che tra criminali e rappresentanti dello stato gli accordi esistono e che questi ultimi che li portano avanti agiscono per il bene dello stato, dal momento che non sono stati né puniti né punibili.
Il vicequestore Novax
Altro argomento che ha riempito le pagine è stato quello del vicequestore novax che, in mezzo ai suoi colleghi di affinità ideologiche, ha inveito contro lo stato corrotto e liberticida, convinta di farla franca solo perché non era in divisa, e di potersi permettere di dire tutto, magari per poi definirsi vittima della dittatura dello stato: come dire che al papa, senza l’abito talare può essere consentito di bestemmiare o che il giudice senza la toga può consentirsi qualsiasi reato o che il medico senza camice può sputare sui suoi malati. Andiamoci piano: lo stato paga i suoi lavoratori chiedendo loro di rispettare e far rispettare determinate garanzie, altrimenti che cambino lavoro. Quella di scegliere questo mestiere è una scelta spesso pesante e ingrata, specialmente se si tratta di infierire sui propri simili e di fermarli, anche se dovessero pensarla allo stesso modo. Chi non ricorda il pasoliniano “poliziotti, io vi amo, siete i figli dei poveri”?
Il “bestio”
Terza questione che ha riempito i social è quella del mentore e dell’orchestratore dell’immagine di Salvini, ovvero del creatore di quella sofisticata e spregiudicata macchina elettorale finalizzata all’uso dei social per la formazione e l’amplificazione del consenso. Beccato con le mani nella marmellata a praticare tutto quello che il suo mentore, su sua istigazione, condannava, dall’omosessualità alla xenofobia, al consumo di droghe, a mio parere non merita scuse né pelosi garantismi proprio perché egli non ne ha mai avuti e non si è fatto alcun tipo di scrupolo nel fagocitare e infangare coloro che venivano individuati come vittime da colpire. E quindi andiamoci piano con il rispetto delle idee altrui, con il garantismo, con l’uso politico degli arresti, con la piena libertà di professare le proprie idee, anche se confliggono con quelle degli altri e con il benessere altrui. Per dirla in siciliano “u rispettu è misuratu, cu lu porta l’avi purtatu” ed è difficile rispettare chi nei tuoi confronti non ha alcun tipo di rispetto.
Inutile prestare il fianco a inutili polemiche con chi si aspetta tolleranza, ma non è disposto ad offrirne nella stessa misura. I discorso non è semplice e che ci riporta all’antica legge del taglione “occhio per occhio...”, che in siciliano esprimiamo più coloritamente “pi un curnutu un curnutu e menzu”. E in genere si tratta di un’antica reazione emotiva che si giustifica con l’intenzione di far provare al carnefice quello che egli ha fatto provare alle sue vittime, magari nell’illusoria speranza che egli si renda conto di quello che ha provocato. Solo in tal caso sarebbe possibile il ravvedimento da una parte e il perdono dall’altra. L’illusorietà di questa posizione è data dal fatto che una delle regole esistenziali umane è quella di essere convinti di non sbagliare, di agire perché così sembra giusto, naturale o nella logica delle cose adottata dalla comunità, oppure perché dietro il fine da conseguire c’è il pagamento della prestazione, ( e quindi si tratta di lavoro, che ha un datore), o un fine politico spesso eversivo, ma della cui “nobiltà” si finisce con l’essere convinti. E’ il caso della salviniana Bestia, autentica associazione a delinquere, composta da una equipe di gente esperta nell’uso dei social da maneggiare con metodi e tecniche d’intervento volte a creare consenso attraverso l’aggressione mediatica e la demolizione umana e politica dell’avversario. Si potrebbe, sempre per sostenere un peloso garantismo, che se c’è un reato deve o dovrebbe intervenire la legge, ma in questo caso chi gestisce l’apparato criminogeno spesso dispone di mezzi e strategie e conoscenze di gran lunga superiori a quelle delle forze dell’ordine o della magistratura, e si muove nell’impunità, sapendo di non potere essere identificato, attraverso i suoi falsi profili o, nel caso che lo fosse, certo di farla franca attraverso le difese dei legali che in questo nuovo campo, non essendoci ancora precise norme, riescono a muoversi con disinvoltura sino all’assoluzione. Si osservi che la Bestia non è finita, una volta finito il suo regista, ma che è ancora in piena azione e che strutture simili, anche se meno sofisticate, sono in mano anche al Movimento Cinque Stelle (chi non ricorda la faccenda di Bibbiano o le umiliazioni grilline alla Boldrini?) e ai camerati che ruotano attorno alla Meloni, primi fra tutti casapoundisti e forzanovisti.
Sulla terza gamba del centro destra non occorrono commenti: l’uso dei mass media è cominciato già nel secolo scorso e continua imperterrito attraverso emittenti televisive e giornali, che comunque non scendono sino alla capillare aggressione dei singoli individui, a meno che non si tratti di uomini, per lo più magistrati, che osano alzare l’occhio inquisitore sull’operato del divo Silvio.
Draghi al Colle
C’è un ultimo argomento che sta affiorando prematuramente, ed è quello dell’elezione del nuovo capo dello stato. Anche qui ci sono strategie spesso sapienti, altre volte rozze, ma efficaci se pompate attraverso i canali televisivi e giornalistici. La Meloni ha espresso la sua contrarietà a un Mattarella bis, dicendo una cosa su cui non si può non essere d’accordo, innanzitutto perché Mattarella da tempo ha espresso la sua intenzione di non essere disposto a un secondo mandato, (quindi la Meloni è una volta tanto d’accordo con Mattarella), in secondo luogo perché il settennato è già un periodo lungo e un suo rinnovo rischierebbe di trasformarlo in una monarchia: i due anni di proroga già concessi a Re Giorgio Napolitano sono stati voluti dal parlamento per l’incapacità dei partiti di sapere individuare un candidato che canalizzasse i voti di una maggioranza letteralmente spaccata in due. A un certo punto Renzi ha tirato fuori dal cappello l’anonimo Mattarella bruciando le pretese e le rivendicazioni del centrodestra, ma nello stesso tempo mettendo fine all’alleanza con Berlusconi. Adesso Giorgetti e Brunetta si sono pronunciati positivamente sulla proposta di Draghi al posto di Mattarella, il che vuol dire che non vedono l’ora di sfrattare Draghi da palazzo Chigi, di scrollarsi della sua “decisionista” presenza, di mandarlo al Colle, di aprire la crisi di governo e di andare a nuove elezioni: Giorgetti potrebbe essere il sostituto di Draghi, Brunetta il suo vice, magari pilotando i resti di Forza Italia nella Lega visto che con la Meloni c’è la lotta al coltello per la conquista della leadership. Il bello è che non si fanno nomi, eccetto quello di Draghi, per non bruciarli e a questo punto si potrebbe riesumare Napolitano per un altro biennio, in attesa...
Foto © Simone Merli