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Il giornalista esperto di crimini, è una sentinella: indaga per la ricerca della verità, per l’accertamento della giustizia, pubblica la sua inchiesta, avvisa la società del pericolo che corre, fa luce nel buio degli omicidi, accende un riflettore sui poteri forti che passano dall’economia e dalla finanza del riciclaggio del denaro sporco internazionale, frutto del narcotraffico, evasione fiscale e corruzione. Peter Rudolf De Vries è stato questa sentinella investigativa televisiva, che inevitabilmente - per il suo ruolo - si è esposto fino alla morte. La mafia recepisce come una sfida questa rara testimonianza di giornalismo investigativo che scende in campo e non aspetta che altri accertino la giustizia, pur rispettando le prerogative degli organi inquirenti dello Stato. Il giornalista investigativo, scende nelle viscere dei territori più bui proprio come i minatori che tengono sul casco una lucetta, scava a mani nude: infiltrano microcamere, indagano personalmente, scovando testimoni inediti e accertando la verità nell’interesse della democrazia. Questo giornalismo è vaglio dello Stato di diritto. Un giornalismo spesso poco compreso perché equivocato come ‘brama di successo’, invece è fuoco che arde, passione per la verità e la giustizia. Questo è il nodo cruciale: ci si espone per motivi di servizio pubblico ma senza tutele. Questo è il dramma. Se come giornalista investigativo assumi queste dimensioni di esposizione, la tua vita non appartiene più a te ma al Paese. E il giornalista va protetto dallo Stato a ogni costo, di fronte a minacce di morte e intimidazioni. Un giornalista esperto di mafie, è come un sacerdote francescano scalzo: serve i cittadini, le vittime, gli ultimi, i dimenticati, ma nessuno gli guarda le spalle. Diventa obiettivo militare: tutti lo conoscono, ma lui non sa da dove arriverà il pericolo. Ecco perché in Italia il Ministero dell’Interno ha un Osservatorio sui giornalisti minacciati: un elenco di giornalisti intimiditi, spesso anche aggrediti dalla criminalità organizzata - con indagini documentate dall’Autorità Giudiziaria a supporto -. Ecco perché il Comitato per l’Ordine Pubblico e la Sicurezza, composto da Questori, Prefetti e Magistrati, in Italia, delibera poi la necessità di una scorta ai giornalisti, oppure altre forme di tutela come le pattuglie radiocomandate o la pattuglia fissa al domicilio del giornalista. Le minacce ai giornalisti vanno monitorate dallo Stato: è un dovere. Dal 2015 al 2020, denuncia il Consiglio d’Europa, gli attacchi ai giornalisti sono aumentati del 40%. Da anni denunciamo che i giornalisti investigativi in Europa sulle mafie e la corruzione, rischiano la vita. Daphne Caruana Galizia, straordinaria giornalista investigativa di Malta, assassinata il 16 ottobre 2017 con un’autobomba, Jan Kuciak, reporter investigativo senza paura, ucciso a colpi di pistola il 21 febbraio 2018, in Slovacchia con la sua compagna Martina Kusnirova, e ora in Olanda, il 15 luglio 2021 è toccato a Peter Rudolf De Vries, il numero uno. Crediamo che Peter abbia vinto la sua battaglia contro il crimine: era sceso in campo per supportare l’unico pentito di mocromaffia Nabil Bakkali. Peter è il pioniere che è andato dritto al cuore del problema,un patriota. Al pentito era già stato ucciso il fratello, poi il suo legale Derk Wiersum, il terzo obiettivo, proprio Peter. La mafia non vuole oggi che si processi e si condanni il suo capo Ridouan Taghi, già in affari anche con le mafie italiane per il traffico di droga. Da Dubai, prima di essere arrestato, Taghi con Raffaele Imperiale, attuale latitante - narcotrafficante, broker italiano legato alla camorra - avevano fondato un cartello europeo della droga. Crediamo che occorrano altri pentiti: si facciano appelli pubblici ad esponenti della mocromaffia a collaborare con la polizia olandese, non bisogna lasciare solo Nabil Bakkali, va sostenuto come stava facendo Peter Rudolf De Vries. I killer hanno rubato a Peter il corpo, ma lui oggi è diventato un seme, eredità della sua famiglia, delle vittime del crimine che ha aiutato - alle quali va tutta la nostra solidarietà - ed è eredità per tutto il popolo olandese, per l’Europa intera. Peter è seme che il Regno dei Paesi Bassi deve trasformare in una foresta, in impegno civile contro tutte le mafie globali, perché i cittadini sono i guardiani dei territori e a ciascuno, spetta vigilare e denunciare. Quello di Peter è un richiamo all’impegno civile. Siamo certi, del resto, che in Olanda già ci sono tracce di consapevolezza e impegno. C’è un’Olanda che non vuole voltare la testa, che riconosce i molteplici punti di contatto tra le mafie “imprenditoriali” del secondo millennio e un sistema economico globale dove sono davvero troppe le zone d’ombra, le ambiguità, i vuoti di regole e di diritti. Che riconosce la sempre più evidente commistione tra crimine mafioso e crimine economico, nell’inerzia o nella sottovalutazione della politica. Allora l’augurio è che davvero anche nei Paesi Bassi prenda sempre più piede la consapevolezza che il problema delle mafie è un problema globale e di democrazia e che, in quanto tale, va affrontato non solo sul piano repressivo e investigativo. Consapevolezza di un male che chiama in causa le nostre coscienze di cittadini e ci esorta a essere custodi e artefici di democrazia. In una società realmente democratica, dove la politica promuove i diritti e l’economia il bene comune, le mafie non avrebbero possibilità di esistere. Peter è morto e noi dobbiamo essere più vivi.

Fonte: Het Financieele Dagblad

Tratto da: facebook.com

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