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Al Presidente della Repubblica

Egregio Signor Presidente,
mi rivolgo a Lei nella mia veste di testimone di giustizia che, negli anni, ha contribuito, al costo di enormi sacrifici, alla lotta dello Stato contro la mafia, e che ora teme l’ennesima sconfitta delle istituzioni di fronte alle minacce del crimine organizzato.
Come lei ben sa Presidente, ci sono decisioni che segnano confini invalicabili, senza lasciare spazio a compromessi. Da testimone di giustizia lo so bene, perché ho fatto una scelta che non prevede mezze misure né facili ripensamenti.
Conosco, come tanti altri, il peso di un’esistenza nascosta, la paura per la mia vita e per quella dei miei affetti più cari. Ho toccato con mano la violenza brutale della mafia e la sua tracotante prepotenza. Eppure ho scelto di non rassegnarmi. Con enorme sacrificio ho abbandonato la mia vita precedente, il mio lavoro, la mia casa e la mia terra: è il prezzo che si paga se non si vuole piegare la testa, se si ha il desiderio di restare liberi, di contribuire a debellare le mafie e di sentirsi cittadini e non sudditi. Tra quelli come me c’è chi ha perso il marito o un figlio, un fratello o un padre. E so bene che anche Lei, signor Presidente, conosce il dolore lancinante di una perdita ingiusta. Le nostre sono ferite ancora aperte, subite in una battaglia che abbiamo scelto di combattere senza rimorsi. Per questo l’indignazione mi spinge a raccogliere tutte le mie forze per cercare di evitare l’ennesima resa dello Stato di fronte al crimine organizzato. Mi riferisco all’imminente pronuncia della Consulta sulla costituzionalità delle norme che regolano l’ergastolo ostativo.
Signor Presidente, tra i principi che non ammettono mediazioni possibili, per me c’è anche la convinzione che a un condannato all’ergastolo non si possano concedere i benefici previsti dalla legge, senza che lo Stato pretenda in cambio la collaborazione con la Giustizia. Sono consapevole di quanto sia disperante una condanna all’ergastolo. Non ignoro lo scopo primario del carcere come strumento rieducativo, sia chiaro. Fine pena mai: è certamente un’espressione spaventosa, definitiva, disarmante.
Ma definitive sono anche le morti che molte vittime di mafia stanno ancora piangendo. E se a fronte di una condanna così gravosa non si intravvede un ravvedimento o almeno la volontà di collaborazione - possibilità sempre concessa ai condannati - francamente non posso accettare che sia lo Stato a retrocedere per primo. Resto convinta che le responsabilità di reati così terribili, assieme alle loro conseguenze, non possano che ricadere su chi li commette. Il mio non è un desiderio di vendetta, piuttosto l’esigenza di tutelare la società civile.
C’è chi sostiene che un’eventuale sentenza di incostituzionalità non sarebbe affatto lesiva della memoria dei servitori dello Stato morti per combattere la mafia. Beh, Maria, la sorella di Giovanni Falcone - tanto per fare un esempio - non la pensa così. E lo stesso vale per Salvatore Borsellino, fratello di Paolo. Lo hanno scritto e ripetuto più volte in questi giorni. Onestamente, e per quello che vale, non mi risulta che qualche vittima di mafia o familiare di vittime la pensi in questo modo.
Chiedo si rifletta sul fatto che forse non siamo noi, in questo caso, a doverci uniformare alla legislazione europea. Che evidentemente non si fonda sulle condizioni che hanno spinto giudici coraggiosi e servitori dello Stato a suggerire quelle norme.
Mi domando se alla fine il vero obiettivo non sia smantellare del tutto l’impianto di contrasto alla mafia costruito con fatica in questi anni. Con il rischio di arrivare ad abolire il carcere duro e assecondare i desiderata che Salvatore Riina elencò nel suo famoso “papello”.
Un rischio che non possiamo correre e per evitare il quale sono disposta a lottare fino a che avrò forza.
Mi permetto di invitarLa a domandarsi se sia davvero possibile rilasciare un boss, supponendo che non sia più in grado di esercitare il suo potere perché troppo in là con gli anni. Davvero si ritiene che un capo mafia possa tornare a casa sua senza nuocere a nessuno? O non sia capace di ottenere perizie false pur di rientrare al proprio posto?
Una decisione favorevole a chi ritiene incostituzionali alcune norme getterebbe nella disperazione molte famiglie, ma soprattutto, aumenterà la sfiducia dei cittadini. A quel punto, in troppi si convinceranno che la mafia non si può vincere e che non sia possibile ottenere giustizia dallo Stato.
Pur consapevole dell’assoluta autonomia di giudizio della Consulta, mi auguro voglia accogliere questo mio grido di allarme. Per quanto mi riguarda, sapendo che qualunque direzione prenderà la Corte Costituzionale la mia idea non cambierà, continuerò a lottare a favore della legalità e della giustizia.
La ringrazio per l’attenzione, Signor Presidente, e le porgo i miei più cordiali saluti. Con sincera stima.

Foto © Imagoeconomica

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