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Capita. Capita anche a chi avrebbe cento motivi per dormire come un sasso di soffrire improvvisamente d’insonnia. E di cercarsi un libro di poche pagine con cui trascorrere un paio d’ore. L’ultima notte che mi è capitato ho estratto da uno scaffale, guidato da non so quale calamita, un libretto di 85 pagine. Sette brevi lezioni di fisica di Carlo Rovelli, insigne fisico teorico, di cui (e me ne scuso) conoscevo solamente il nome. Gli ho dato una scorsa veloce. Vi si parla di Einstein che legge Kant; e che lascia la Germania di cui non sopporta i rigori liceali per raggiungere la famiglia a Pavia, dove il padre ingegnere installa le prime centrali elettriche in pianura padana. Vi si parla di Anassimandro e della sua rivoluzione scientifica. Gli ingredienti sembrano quelli giusti. Sono proprio quelli che attirano i lettori della mia età, con in cuore la nostalgia perenne degli studi classici da approfondire “come si deve” quando ci sarà tempo, cioè mai. Rituffarsi negli odori dei nomi e dei temi che hanno popolato l’adolescenza o la prima giovinezza è sempre operazione inebriante; e, in questo caso, dal finale sorprendente.
Fra la teoria della relatività e quella dei quanti giungo infatti all’architettura del cosmo e lì mi incanto. Cielo, terra, Parmenide, Pitagora, Aristotele, Dante, Copernico. Ragazzi, qui si sogna. Ma quale fisica, questa è letteratura, è poesia, è ricordo di effluvi, di spruzzi marini e di sospiri notturni. Rovelli disegna il cosmo che si increspa di onde e vibra. Disegna in successione le idee di cosmo che l’uomo ha coltivato dal primo homo sapiens a oggi: terra piatta e terra sferica, terra al centro e terra che gira intorno, il sistema solare che è soltanto uno dei tanti. La galassia, anzi “le” galassie.
A un certo punto mette su una mezza pagina una fotografia presa dal telescopio in orbita Hubble. È l’immagine più profonda del cielo. Vedete tutti questi puntini neri? Chiede. Ecco, ogni punto nero è una galassia con cento miliardi di soli simili al nostro. Perché nell’universo esistono migliaia di miliardi di miliardi di pianeti come la terra, spiega. Mi fermo. Rileggo: “Migliaia di miliardi di miliardi di pianeti”. Me lo ripeto e resto sconvolto. E noi crediamo di pensare in grande se parliamo di globalizzazione e di politica estera. “Migliaia di miliardi di miliardi”. Bisognerebbe riscriverlo cento volte al giorno, come si fa con le aste all’asilo, per capire quanto sia ridicola la gara del potere (perché mica solo di fisica vi volevo parlare). Compresa quella dei grandi dittatori.
Nel senso che se queste sono le dimensioni dell’universo noi che viviamo su questo infinitesimale sputo che è la terra possiamo fare solo una cosa. Viverci al meglio, in pace tra noi. E chi fa politica solo a questo dovrebbe pensare. A come fare star bene chi per avventura viva nel suo stesso tempo, senza tragicomiche lotte di potere.
Chi sei in fondo tu, homo politicus, in quelle migliaia di miliardi di miliardi di pianeti? Nulla, zero virgola zero periodico. Se poi per essere lo zero virgola zero periodico perdi nel mezzo di una tragedia collettiva anche la stima residua di chi un giorno ti votò felice mentre ora conta i morti e le paure intorno a sé, desiderando solo sopravvivere e tornare a rivedere i prati e le spiagge e le labbra delle persone amate, allora ti conviene leggere questo libretto di fisica e gli altri intorno. Perché sei proprio un brighella, come dicono a Milano.
Studia dunque almeno il capitolo sul cosmo, per avere il senso delle proporzioni. Per sentirti pulce quanto è giusto. E per scoprirti incommensurabilmente ridicolo quando ti atteggi a leone. Forza, ripetilo con me: migliaia di miliardi di miliardi. Magari ti vergogni. Potrebbe essere la tua salvezza (ogni riferimento alla situazione politica dell’Italia odierna è del tutto casuale…).

Tratto da: Il Fatto Quotidiano del 18 Gennaio 2021

Foto © Imagoeconomica

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