di Rossella Guadagnini
Quasi un trentennio ci separa, nel nostro recente passato, dalle stragi di Capaci e via d’Amelio del’92 e da quelle di Firenze, Milano e Roma del ’93: una tragedia nazionale che provocò una reazione determinata dello Stato. Eppure la mafia è tornata a essere molto forte: per capire questo radicamento arriva “Lo Stato illegale” (Editori Laterza) di Gian Carlo Caselli e Guido Lo Forte, due magistrati che hanno condotto processi storici come quelli a Andreotti, Dell’Utri e Carnevale. E che ora parlano di ‘blockchain’, criptovalute e di ‘high frequency trading’.
L’11 giugno del 1875 il deputato Diego Tajani, ex magistrato che aveva tentato di fronteggiare collusioni mafiose di parte della Polizia, denunciando le coperture assicurate a esponenti mafiosi dalla politica locale e nazionale tenne un discorso memorabile in Parlamento, mentre si discuteva dell’”Applicazione di provvedimenti straordinari di pubblica sicurezza soprattutto con riferimento alla Sicilia. Alzatosi in piedi disse nel gelo dell’Aula: “La mafia che esiste in Sicilia non è pericolosa, non è invincibile di per sé, ma perché strumento di governo locale”.
Non abbiamo a che fare con un nemico invisibile dunque: quello è il Coronavirus. E’ invece visibilissimo, talvolta perfino tollerato: c’era chi, tra i ministri dello Stato (ad esempio il forzista Pietro Lunardi nel 2001) diceva che con Cosa nostra bisogna convivere, proprio come oggi dicono i virologi del Covid-19. La pandemia mafiosa è ben conosciuta e riconosciuta fin dalla seconda metà dell’800 anche dai governi che, dall’Unità d’Italia in poi, si sono succeduti; si è diffusa inizialmente in Sicilia, a partire dal fenomeno del brigantaggio, quindi nel resto del Paese.
L’Unità d’Italia, la questione meridionale e la Repubblica del ‘46
La criminalità organizzata ha condizionato fortemente le vicende del Mezzogiorno, contribuendo al sorgere della questione meridionale, la cui pesante eredità è durata per tutto il 900, arrivando fino a noi. Dopo ha fatto strame anche del divario tra nord e sud della Penisola: la famosa “linea della palma” di cui parlava Leonardo Sciascia ne Il giorno della civetta, è ‘salita’ fin dove poteva e oltre, varcando i confini nazionali e spingendosi in Europa e oltreoceano. Lo aveva già cominciato a fare attraverso l’emigrazione dei primi decenni del secolo scorso e negli anni del dopoguerra e della ricostruzione, quando flussi consistenti di meridionali in cerca di lavoro si dirigono in Lombardia, Piemonte e Veneto.
La mafia via via è divenuta le mafie, polimorfa e perfino “liquida”, come il filosofo Zygmund Bauman definiva la nostra società, seguendone gli incerti destini e penetrando ovunque possibile in maniera pervasiva. E si è globalizzata. Il tutto mentre noi – circa un secolo e mezzo dopo- vediamo, comodamente seduti sul divano di casa, la serie tv Diavoli, intreccio indistricabile tra una certa finanza ai limiti della criminalità con la politica europea e mondiale. Un sistema illegale di potere che ormai si occupa soprattutto di riciclaggio, bolle speculative, investimenti economici pochissimo trasparenti e così via.
Questa la storia di Cosa nostra, che si delinea attraverso un’influenza costante sullo sviluppo politico ed economico dell’Italia, grazie ai legami con il passato regime fascista, con frange eversive e indipendentiste di varia natura, col terrorismo nero, con alcuni ambiti della massoneria, di una parte dei servizi segreti e delle forze dell’ordine, per finire dritta al cuore dello Stato e delle sue istituzioni. A partire dalla nascita della Repubblica italiana – seguita dalla carneficina di Portella della Ginestra del Primo maggio 1947 – fino alla Trattativa Stato-mafia dei giorni nostri, passando – tra depistaggi e delegittimazioni – per la stagione delle stragi del ’92 (Capaci e via d’Amelio) e del ’93 a Firenze, Milano e Roma.
Una faccenda terribilmente complicata
Proprio in questi giorni, a metà strada tra un anniversario e l’altro, di quel terribile periodo che separò la morte di Falcone (il 23 maggio) da quella di Borsellino (il 19 luglio), fuori dalla retorica commemorativa sui due magistrati, vale la pena leggere un saggio importante, pubblicato di recente: “Lo Stato illegale. Mafia e politica da Portella della Ginestra a oggi”, Editori Laterza.
Autori ne sono altri due giudici, Gian Carlo Caselli e Guido Lo Forte che, per quarant’anni, hanno seguito indagini e processi ormai storici, come quello a Giulio Andreotti, che ne ha confermato i rapporti con la mafia fino al 1980, reato ascritto all’imputato - il politico più importante della Prima Repubblica - ma estinto per prescrizione. E poi a Marcello Dell’Utri, fondatore di Forza Italia, e a Corrado Carnevale, che si era guadagnato sul campo il soprannome evocativo di giudice ammazzasentenze.
Caselli, giudice istruttore a Torino, ha guidato la Procura di Palermo dopo le stragi del ’92, per concludere la carriera in magistratura come procuratore della Repubblica di Torino. Attualmente dirige l’Osservatorio di Coldiretti sulla criminalità nell’agricoltura e sulle agromafie. Lo Forte, pm a Palermo e a Messina, è stato curatore - con la Direzione distrettuale antimafia di Palermo - di indagini e dibattimenti su Andreotti, Dell’Utri e Carnevale.
“La mafia è da sempre ben conosciuta anche dai governi del Paese” è l’assunto di base dei magistrati: attraverso fatti e misfatti, omicidi ed eccidi che costellano la storia recente del Paese e processi che riempiono le pagine della cronaca, essi ricostruiscono in dettaglio le complesse vicende di quello che definiscono il Polipartito trasversale di mafia e politica, maneggiando una materia incandescente. Dai processi “politici” della Procura di Palermo al “concorso esterno” al riduzionismo/negazionismo che ancora oggi persiste, quando ci si ostina a chiamare ancora presunta la Trattativa Stato-mafia, cui sono state dedicate 5.252 pagine di motivazioni della sentenza.
Dal primo ‘omicidio eccellente’ del 1893 fino alla blockchain e alle criptovalute
“Di fatto, la mafia – sostengono gli autori – continua a essere considerata un problema di ordine pubblico, la cui pericolosità si coglie soltanto in situazioni di emergenza, quando cioè mette in atto strategie sanguinarie. Sfugge, non casualmente, che è un vero e proprio ‘sistema di potere criminale’ funzionale a sempre nuove rapacità e nuovi interessi”.
Quando si è verificata una trasformazione della mafia da “semplice organizzazione criminale a ‘entità politica’”? È possibile parlare di una politica di Cosa nostra, di un suo ordinamento istituzionale, di funzioni di governo interne paragonabili a quelle di uno Stato? Sono questi solo alcuni degli interrogativi cruciali a cui si cerca di dare risposta. Quale ruolo hanno avuto nella storia del Paese le ‘relazioni esterne’ della Cupola con alcuni segmenti della società civile e dello Stato, mediante l’alternarsi di situazioni di coesistenza, compromesso, alleanza o conflitto?
Del 1893 il primo omicidio eccellente, quello di Emanuele Notarbartolo di San Giovanni, avvenuto sul treno Termini Imerese-Palermo. Il marchese faceva parte dell’elite socio-economica palermitana, sindaco di Palermo per tre anni e poi direttore del Banco di Sicilia. Un groviglio tra politica, banche e criminalità – osservano i magistrati – “che ritornerà più volte, tra l’altro nelle uccisioni di Calvi e Sindona”. Senza tacere della morte ‘misteriosa’ di Enrico Mattei, presidente dell’Eni.
Gli strumenti per questo combattimento impari ci sono, assicurano Caselli e Lo Forte: “L’Italia è all’avanguardia per ciò che compete la legislazione e l’organizzazione del contrasto dei fenomeni mafiosi. Non è un caso se Eurojust, embrione della futura Procura europea, è modellato sulla nostra Procura nazionale antimafia. Ma il fiore all’occhiello italiano, ovunque studiato e imitato, è l’antimafia sociale o dei diritti”: la confisca dei beni mafiosi e della loro destinazione ad attività socialmente utili.
Parola d’ordine: segui il denaro!
L’evoluzione della mafia è raccontata nel capitolo finale: se le organizzazioni criminali sono in continua espansione, non solo in Italia ma anche all’estero, i loro rappresentanti cercano di passare inosservati. Il riciclaggio è al centro di un’economia parallela, come vuole il motto ‘meno violenza, sempre più impresa’. E chi ha seguito indagini nel settore del gioco d’azzardo ne sa qualcosa. “Il metodo mafioso – precisa Caselli – può esercitarsi in forma silente, senza ricorrere a forme eclatanti e continuare così a gestire il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici, procurandosi sempre nuovi canali puliti per il riciclaggio.
Lo diceva, del resto, Falcone: occorre seguire la pista del denaro per trovare Cosa nostra. La nuova mafia del Polipartito agisce su livelli molto più sofisticati di un tempo, ma il senso è lo stesso. I collegamenti internazionali, gli investimenti, le centrali off-shore, l’espansione del mercato delle criptovalute e delle monete elettroniche, le nuove tecnologie nel settore finanziario, come la blockchain (in cui le transazioni vengono archiviate in modo sicuro) e la high frequency trading (ossia scambi commerciali e transazioni ad alta frequenza); l’import-export e i fondi di investimento internazionali.
E adesso tremano le vene ai polsi al solo pensare ai finanziamenti in arrivo dall’Europa a seguito dello sfacelo economico creato dal Coronavirus. Tanto che il post-pandemia è ritenuto molto problematico, specie in tema di investimenti, dal Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Federico Cafiero de Raho. “I clan – ha affermato già nell’aprile scorso – sfrutteranno l’emergenza Covid per mangiarsi l’economia. Non c’è crisi che non sia una grande opportunità per le mafie”.
Perché la mafia, ricorda la vignetta di Elle Kappa che appare nel saggio di Caselli e Lo Forte, “non è più quella degli amici degli amici. Ora è quella dei manager dei manager”. Diavoli, appunto, come volevasi dimostrare.
(6 luglio 2020)
Tratto da: temi.repubblica.it/micromega-online