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di Luca Tescaroli
L’effettività della sanzione penale, e del carcere in particolare, è nel nostro Paese una chimera e nel dibattito pubblico non si affronta il tema con la necessaria attenzione. Tale mancanza è una delle principali carenze del sistema penale che vulnera le funzioni stesse della pena astrattamente prevista, che rimane con molta frequenza solo sulla carta. Ciò alimenta la sfiducia dei cittadini nei confronti della giustizia e di chi l’amministra. Vediamo di capire quali sono le cause e il perché. La condanna definitiva interviene non solo a distanza di molti anni, quando l’imputato potrebbe aver cambiato vita, ma il condannato in libertà varca le soglie del carcere solo quando la pena supera i 4 anni di reclusione (una percentuale altissima di condanne è sotto quel limite) a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 41/2018, che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 656 V c del Cpp, elevando il limite dai 3 ai 4 anni. Fanno eccezione i soli reati indicati nell’art. 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario (quelli di mafia e terrorismo, contro la PA e un ulteriore catalogo di altri gravi reati) ai quali si applica comunque l’istituto della liberazione anticipata, che offre al detenuto che dia prova di partecipazione all’opera di rieducazione la possibilità di detrarre 45 giorni per ogni semestre di pena scontata. Un “bonus” che in concreto viene applicato sistematicamente senza approfondite verifiche anche ai mafiosi condannati all’ergastolo, che si comportano sempre da detenuti modello. Non solo: il carcere non si applica anche quando la pena residua da espiare sia uguale o inferiore ai 4 anni e si computa il periodo di liberazione anticipata alla carcerazione preventiva già sofferta. Dunque, in generale, l’ordine di carcerazione - in caso di custodia in carcere o arresti domiciliari di 2 anni prima della condanna definitiva - può essere emesso quando le pene superano i 4 anni e 6 mesi di reclusione.
Così l’esecuzione di moltissime condanne a pena detentiva per i delitti dei colletti bianchi, come i reati societari, tributari e bancari, e tantissimi reati comuni (es. rapine ed estorsioni non aggravate) viene sospesa e verranno applicate sanzioni alternative al carcere: l’affidamento in prova al servizio sociale, detenzione domiciliare e semilibertà, diverse rispetto a quella prevista dalla norma incriminatrice.

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Il procuratore aggiunto di Firenze, Luca Tescaroli


La pena detentiva, per essere eseguita, dovrà superare i 6 anni quando si tratta di reati commessi a causa dello stato di tossicodipendenza o alcooldipendenza e il responsabile partecipa a un programma terapeutico. È poi prevista la liberazione condizionale per il condannato che, durante la pena detentiva, abbia tenuto un comportamento tale da ritenere sicuro il suo ravvedimento, sempre che abbia scontato almeno metà della pena inflitta, qualora il rimanente della pena non superi i 5 anni (il condannato all’ergastolo può essere ammesso dopo averne scontati 26). I magistrati si attestano sempre su pene a ridosso del minimo, come gli viene “insegnato” nel loro periodo di formazione. Così, per quanto grave possa essere un reato, nessuno viene mai condannato al massimo della pena prevista. Perciò gli aumenti di pena introdotti di tanto in tanto dal legislatore si traducono in un nulla di fatto, salvo che non si intervenga drasticamente sui minimi edittali (come si è fatto con le recenti norme contro i reati tributari dette “manette agli evasori”). L’applicazione delle attenuanti generiche, che abbattono la pena sino a un terzo, avviene in maniera quasi automatica e nella massima estensione. È inoltre prevista la possibilità di applicare alla condanna la sospensione condizionale quando la pena in concreto inflitta (quindi tenendo conto delle attenuanti generiche e di tutte le altre attenuanti ritenute sussistenti) sia contenuta entro i 2 anni, caso tutt’altro che infrequente col rito abbreviato (che comporta un ulteriore abbattimento di pena di un terzo) o al patteggiamento (diminuzione sino a un terzo).
Occorre chiedersi se la previsione di una sanzione che non si esegue possa giustificare il ricorso al processo penale. Non è forse più ragionevole costruire un diritto penale minimo, che selezioni i comportamenti meritevoli, carichi di disvalore perché offendono autenticamente i valori costituzionali, munendoli di pene certe, procedendo alla depenalizzazione massiva dei comportamenti di fatto non puniti, applicando la sanzione amministrativa che non può essere sospesa? Può considerarsi rieducativa una pena che si sa che non verrà espiata? La pena ha una funzione retributiva, sebbene raramente lo si ricordi (art. 25 della Costituzione: “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso”). Come si può distogliere dal commettere un reato la collettività ed evitare che il reo torni a delinquere se la pena prevista non viene eseguita? Come possono essere salvaguardati i diritti inviolabili dei cittadini e le garanzie collettive di libertà, sicurezza, proprietà e iniziativa economica con un sistema penale privo di effettività? È ora di ripensare e ridisegnare il diritto penale dell’esecuzione, depenalizzando le contravvenzioni e i delitti davvero minori, per punire quelli più gravi.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano del 28 Dicembre 2019

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