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di Marco Travaglio
Per vent’anni, a mo’ di battuta, abbiamo scritto che B. avrebbe continuato a vincere anche da morto perché, dopo il berlusconismo con B., sarebbe arrivato il berlusconismo senza B.. Ma in Italia non bisogna mai fare battute, perché poi si avverano. B. non è morto, ma non è mai stato così fuori gioco. Eppure il berlusconismo gli sopravvive allegramente presso terzi. Avreste mai immaginato che un giorno la presidente del Senato avrebbe scovato l’indirizzo privato di due cronisti per recapitare loro non una denuncia o una querela, ma una lettera minatoria che preannuncia una causa per danni? Neppure B. aveva osato tanto: madama Casellati sì. Avreste mai immaginato che un conduttore tv, reo di aver intervistato Renzi sui guai giudiziari dei suoi amici, dei suoi parenti e della sua villa, si sarebbe visto pubblicare sui social renziani la foto e l’indirizzo della sua casa privata? Neppure B.&C. avevano osato tanto: Renzi invece ha finto di indignarsi, poi ha aggiunto che chi la fa l’aspetti, come se Formigli fosse un senatore, il leader di un partito al governo, un pubblico ufficiale tenuto ai doveri di trasparenza, disciplina e onore, e come se la magistratura indagasse su casa sua anziché su quella di Renzi. Avreste mai immaginato che il bavaglio alla stampa sulle intercettazioni e gli altri atti d’indagine, cioè l’unica legge-vergogna tentata e fallita per vent’anni da B., l’avrebbe realizzata il Pd renziano col suo ministro della Giustizia Andrea Orlando?

Eppure è quel che accadde due anni fa, poco prima delle elezioni del 4 marzo che punirono il berlusconismo con B. (FI) e il berlusconismo senza B. (Pd). Alla Giustizia arrivò Alfonso Bonafede, che iniziò a deberlusconizzarla con la Spazzacorrotti, la blocca-prescrizione, la riforma del voto di scambio, le manette agli evasori e il rinvio del bavaglio, in attesa di trovare un partner di governo disposto a smantellarlo. Salvini non ci pensava proprio, con tutti gli indagati che ha e prevede di avere in casa. Si sperava nel Pd derenzizzato da Zinga. Col cavolo. Ora che, senza nuovi rinvii, il bavaglio scatta dal 1° gennaio 2020, le Procure sono in allarme: sia per il sistema assurdo e incostituzionale che introduce, sia perché non contiene una norma transitoria che regoli le intercettazioni nelle indagini in corso (quelle avviate col vecchio sistema devono passare in corsa al nuovo, o questo vale solo per le inchieste avviate dopo il 1° gennaio?). Mancando 20 giorni, la soluzione più ragionevole è un altro rinvio per ripensare tutta la legge. Ma è bastato che Bonafede affacciasse l’ipotesi per scatenare gli alti lai del Pd.

Lo scopo della legge Orlando è chiaro: impedire ai giornalisti e dunque ai cittadini di conoscere gli scandali che emergono da intercettazioni. Siccome gli atti d’indagine, una volta depositati alle parti, non sono più segreti, i cronisti li possono raccontare. Soluzione: impedire ai pm e agli avvocati di conoscerli, così resteranno occulti a tutti. Con tanti saluti all’obbligatorietà dell’azione penale, al diritto alla difesa e all’informazione. Funziona così. Oggi l’ufficiale di polizia giudiziaria ascolta tutte le intercettazioni e le riassume in un brogliaccio, così pm e avvocati possono chiedere che vengano trascritte quelle che ritengono utili per l’accusa e la difesa. Domani invece il poliziotto non potrà più inserire nei brogliacci intercettazioni che lui, nella sua discrezionalità, ritiene penalmente irrilevanti o relative a “terzi non indagati” (le risate degli imprenditori dopo i terremoti, B. che raccomanda le sue girl alla Rai o traffica con l’Agcom per chiudere Annozero, Fassino che chiede a Consorte “abbiamo una banca?”, Renzi che dà del bugiardo al babbo su Consip, le polizze vita di Salvatore Romeo col nome della Raggi, la ministra Guidi che caldeggia la norma pro petrolieri caldeggiata dal fidanzato lobbista ecc).

Così quel materiale, che i cittadini devono conoscere e i cronisti raccontare, resterà in mano alle forze di polizia che, diversamente dalla magistratura, dipendono dal governo, con conseguenze facilmente prevedibili. Gli agenti in malafede potranno usarlo per ricattare tizio o caio, barattando il silenzio con uno scatto in carriera. E, se c’è di mezzo qualche loro collega, o amico, o superiore (pensiamo ai carabinieri del caso Cucchi o ai poliziotti del G8 di Genova), potranno “dimenticare” qualche intercettazione anche se è penalmente rilevante, anzi proprio per questo: tanto nessun pm avrà mai il tempo di passare mesi a riascoltarle tutte per scoprire le eventuali “sviste”. Non solo. Una frase che oggi appare irrilevante può diventare importante domani, per accusare o scagionare qualcuno, alla luce di nuovi elementi acquisiti: ora il pm o l’avvocato sa che esiste grazie al brogliaccio e può recuperarla; domani non più, perché il brogliaccio sarà muto e nessuno (a parte l’agente che l’ha compilato) saprà che quella frase è stata pronunciata, salvo che uno disponga di una buona cartomante. E i difensori avranno ancor meno speranze dei pm di scoprire se è stato nascosto un elemento rilevante: potranno ascoltare tutti gli audio per soli 10 giorni, senza leggerne la trascrizione né estrarne copia né prendere appunti. Nel 2010, quando B. tentava di far passare questa porcheria, giornalisti ed editori manifestavano in piazza e Repubblica usciva costellata di post-it gialli con lo slogan “Quello che non potremo più pubblicare”. Anche il Fatto aderì alla campagna, pensando che fosse una battaglia di principio. Invece era puramente strumentale: ce l’avevano con B., non col bavaglio. Infatti, oggi che lo vuole il Pd, tutti tacciono e acconsentono. Dovrebbero uscire con dei post-it marroni e lo slogan: “Basta intercettazioni, se no poi ci tocca pubblicarle”.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano del 11 dicembre 2019

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