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di Rino Giacalone
Tonino Vaccarino, finito in manette, è al centro delle indagini sulle talpe che hanno facilitato la latitanza del superboss Messina Denaro

Altro che dare una mano per aiutare il suo pure oltremodo incauto e irresponsabile interlocutore, un colonnello dei carabinieri in servizio alla Dia di Caltanissetta, a catturare il super latitante Matteo Messina Denaro - capo mafia di Cosa nostra trapanese e ricercato da 26 anni - l’ex sindaco di Castelvetrano, Tonino Vaccarino, avrebbe usato l’improvvida offerta di tornare a darsi da fare per agevolare l’arresto di Matteo Messina Denaro per accreditarsi al contrario dentro la mafia belicina. Veicolando segreti che gli erano stati consegnati, sì illecitamente ma per ragioni opposte. E lo avrebbe fatto passando informazioni importanti come possono essere i contenuti di una intercettazione e soprattutto dando notizia agli intercettati di trovarsi sotto inchiesta. Non hanno dubbi sul discusso Tonino Vaccarino, i pm della Dda di Palermo, Guido, Dessì e Padova, dubbi che il gip Morosini ha condiviso tanto che lo ha fatto arrestare assieme a due carabinieri, il colonnello Alfio Zappalà, della Dia di Caltanissetta, e l’appuntato Giuseppe Barcellona, in servizio a Castelvetrano, indagati come “talpe”.

I contatti Stato-mafia
È l’ultimo capitolo dell’indagine per la cattura del boss Matteo Messina Denaro, 57 anni il prossimo 26 aprile, pluriassassino, sanguinario e spietato, custode di tanti segreti a cominciare da quelli delle stragi del 1992 e del 1993, e la cui protezione ogni giorno che passa trova conferme nell’essere affidata a reti di connivenze potentissime. Una latitanza che ha tutti gli elementi da poter rappresentare la prova di un ennesimo “patto” scritto in mezzo a morti ammazzati e corruzioni, tra Cosa nostra e pezzi dello Stato. Vaccarino è nome noto alle cronache. Tra il 2004 e il 2006 fu incaricato dal Sisde del generale Mori a intrattenere rapporti epistolari con il boss Messina Denaro, Mori pensava così di potere catturare il capo mafia, perdurante latitante. Quando una indagine della Squadra Mobile di Trapani fece scoprire ogni cosa, anche perché nel frattempo il nome di Vaccarino, indicato come “Vac”, venne trovato nei pizzini custoditi da Binnu Provenzano nel suo covo di Montagna dei Cavalli, e al quale Messina Denaro lo indicava come «persona per bene e utile alla nostra causa», il Sisde fu costretto a indicarlo all’ignara Procura di Palermo come suo collaboratore, per non farlo arrestare.

I pizzini con i nomi
Vaccarino, che nei “pizzini” con il boss per ordine dello stesso si firmava Svetonio, sottratto dalle manette, cominciò a essere un recitante dell’antimafia, arrivando a invitare il capo mafia alla resa e alla consegna. Il boss intanto gli mandava a dire, a suo modo, il proprio disappunto per averne tradito la fiducia. Vaccarino il profilo di un soggetto borderline per i pm di Palermo l’ha sempre mantenuto, ma secondo la nuova indagine dei Ros è uno che forse con Cosa nostra è rimasto a tu per tu. Già dai tempi della famosa collaborazione col Sisde. Nonostante la rabbiosa reazione contro di lui messa per iscritto da Messina Denaro, che lo indicò come presente nel suo testamento. Per le vicende di tredici anni addietro Vaccarino è uscito prosciolto, ma oggi i pm Guido, Padova e Dessì scrivono che in quella indagine alla luce dei nuovi fatti si colgono bene e meglio «ambiguità, zone d’ombra, dichiarazioni tanto reticenti quanto fuorvianti».

Il colonnello Zappalà sembra avere seguito l’esempio, sebbene mal riuscito, del generale Mori, intrecciando dalla sede Dia di Caltanissetta e poi di presenza, rapporti con Vaccarino, pare senza informare l’autorità giudiziaria, sfrutta un suo subalterno, l’appuntato Barcellona, anche lui “omertoso” con i suoi superiori, e consegna carte che non avrebbe mai dovuto dare a Vaccarino. Non volevano essere delle “talpe” ma per i pm è quello che fanno. L’ex sindaco, dal canto suo, sembra che non aspettasse migliore occasione, per rimettersi al servizio dello Stato, le sue conversazioni sembrano tradire rancore per come finì la sua liason col Sisde, così conquistò la fiducia di Zappalà, e però le carte prese le ha passate subito ai mafiosi, «per agevolare Cosa nostra» e non per tradirla: in quelle carte si parlerebbe anche dei possibili nascondigli del boss. Non c’è certezza che in possesso dei mafiosi siano finiti i file integrali, ma certamente le persone che erano intercettate perché ritenute dai carabinieri del Ros vicine al boss, attraverso Vaccarino e l’interlocutore da questi scelto , il pregiudicato di mafia Vincenzo Santangelo, bene istruito da Vaccarino, «con l’uso che tu sai di doverne fare, e con la motivazione che la tua intelligenza sa che mi spinge», hanno saputo di essere ascoltati. E forse anche altro.

Le rivelazioni del pentito
Sullo sfondo di questa storia sembrano sentirsi le recentissime dichiarazioni rese alla Corte di Assise di Caltanissetta, dal pentito catanese Maurizio Avola, il pentito che ha attribuito a Messina Denaro il delitto dei giudici Antonio Scopelliti e Gian Giacomo Ciaccio Montalto. Avola ha parlato di corti circuiti che nel tempo hanno “protetto” Matteo Messina Denaro e le sue strategie, quelle servite a decidere delitti e stragi, o anche a far ricche le casseforti di Cosa nostra. «I Messina Denaro - parole di Avola - sono collocati dentro la massoneria, sono molto potenti e hanno a loro servizio numerosi soggetti delle istituzioni. Ci sono personaggi dello Stato che fanno il doppio gioco. E l’operazione di un mese fa (il blitz “Artemisia” condotto da Procura di Trapani e Carabinieri, ndr) che ha visto coinvolti soggetti della massoneria di Trapani non mi ha smentito». L’indagine “Artemisia”, ha raccontato di una massoneria segreta nel cuore del potere politico di Castelvetrano. Tonino Vaccarino è un massone dichiarato, ma il suo nome è tra quelli finiti agli atti della precedente commissione bicamerale d’inchiesta sulla mafia che si è occupata di contatti pericolosi tra le mafie e le massonerie.

Tratto da: lastampa.it

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