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ardita sebastiano c imgoeconomicadi Sebastiano Ardita
I magistrati oggi sono schiacciati da una difficile condizione professionale, legata alla crescita anomala della domanda di giustizia divenuta impossibile da gestire. Ma la nostra critica a chi ha gestito l’auto-governo (il Csm, ndr) è di aver fatto poco o nulla per fare emergere la nuova insidia rispetto alla indipendenza e l’autonomia. Abbiamo visto un consiglio sostanzialmente sdraiato sulle scelte dell’esecutivo il quale, da parte sua, non ha lavorato sui sistemi processuali ma sulla risorsa umana magistrato: ha tagliato le ferie, ha allungato i tempi per chiedere i trasferimenti, ha varato una legge di responsabilità civile che è la più dura tra quelle vigenti in Europa.
La lettura un po’ didascalica secondo cui la questione dello scontro politica giustizia va letta alla luce del conflitto con Silvio Berlusconi risulta contrastante col dato reale che noi oggi viviamo. Le proposte di Berlusconi erano velleitarie in quanto non aveva i numeri ovunque volesse portarle a compimento: in Parlamento e specialmente nel Csm. Dunque l’autodifesa spontanea e compatta della magistratura era abbastanza semplice.
A questa storia manca poi un pezzo: cioè la stagione del patto del Nazareno, di cui forse ci siamo dimenticati. Il famigerato patto sulle riforme tra governo e opposizione ha invece avuto un impatto devastante sulla condizione professionale dei magistrati oltre che sulla loro autonomia e indipendenza “interne”, che rappresentano il più grande dei problemi, provocando una scollatura enorme tra la rappresentanza di magistrati e la loro base, che non si fida più.
Vi è stata una intesa se non un patto tra i capi delle correnti ed esponenti della politica, rappresentati in Csm da un blocco compatto di laici, non più espressione delle varie sensibilità dell’avvocatura e dell’accademia, ma provenienti direttamente dall’impegno politico e molto spesso a quell’impegno destinati a ritornare. Il nuovo scenario è quello di una politica stretta in un ampio patto trasversale e della adesione al patto anche di una larga fetta della rappresentanza dei magistrati.
Il caso dell’Ilva è emblematico perché è un caso nel quale tutti i poteri - quelli economici, la Confindustria, il governo, i sindacati, le banche, l’azienda - avevano interesse a proseguire la produzione industriale nonostante i danni dell’inquinamento. Dall’altra parte c’era il cittadino, completamente solo, che per la difesa dei suoi diritti primari contenuti nella Costituzione ha solo un riferimento: il magistrato.
Ma proprio prendendo spunto dal caso Ilva abbiamo letto sulla stampa le dichiarazioni del presidente del Csm Giovanni Legnini che ragionava “sulle conseguenze delle decisioni giudiziarie” considerando come i magistrati dovessero tenere conto “del loro impatto sull’economia”, naturalmente al nobilissimo fine di ottenere una “giurisdizione moderna” che potesse “concorrere alla ripresa del paese”. E infine chiosava che il Csm “intende muoversi in tale direzione avviando un cammino riformatore sui percorsi di carriera, incarichi direttivi…” Il messaggio che passava era chiaro: chi ambisce a far carriera deve tener conto delle esigenze dell’economia.
Un’altra vicenda emblematica è quella del disciplinare Consip, plasticamente rappresentata dalle foto di Celeste Carrano ed Henry Woodcock sul banco degli incolpati, finiti in prima pagina per accuse in parte provenienti dai loro stessi indagati.
La rappresentazione giornalistica, accettata e comunque non impedita dall’autogoverno (il Csm, ndr), è quella di pubblici ministeri impegnati in un procedimento che arriva ai vertici dello Stato, condotti sul banco degli incolpati prima ancora che i loro indagati vengano portati davanti al giudice. Una narrazione che può andar bene per la Corea del Nord, ma non in un paese in cui i magistrati devono essere difesi dal proprio autogoverno affinché possano svolgersi anche indagini e processi che riguardano i potenti. Perché il messaggio che passa alla magistratura ed alle giovani generazioni è devastante: quello di stare alla larga da indagini e processi che riguardano i potenti! Si tratta anche qui di un messaggio a fronte del quale il magistrato si sente smarrito, ma ancor più smarrito sente il cittadino .
Il Csm ha il dovere di arginare il tentativo della politica di ridurre la autonomia dei magistrati con norme che, in nome dell’efficienza e dell’organizzazione, li trasformino in sudditi deboli e facciano del loro vertice un organismo forte e collegato con gli altri poteri.
Questo testo è uno stralcio dell’intervento tenuto il 20 giugno a Milano nel convegno “orgoglio dell’autogoverno: una sfida possibile per i 60 anni del Csm?”

Tratto da: Il Fatto Quotidiano del 26 Giugno 2018

Foto © Imagoeconomica

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