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di Attilio Bolzoni
Nessuno sapeva niente. A Roma, in Confindustria e al Viminale. E a Palermo, in Regione. Nei ministeri, nei quartieri generali dei partiti, nei tribunali. Una cappa di ipocrisia complice è calata sullo scabroso “affaire Montante”, tutti che oggi provano "sconcerto" e "delusione", parlano di "fulmine a ciel sereno" quando informazioni (anche giudiziarie) sufficientemente attendibili sul conto del vicepresidente degli industriali italiani circolavano da almeno due anni. Ma in tanti hanno fatto finta di non vedere. In viale dell’Astronomia, dove non uno ma due presidenti - prima Squinzi e poi Boccia - hanno mantenuto o rinnovato deleghe prestigiose all’avventuriero. A Palazzo d’Orleans, dove il governatore Crocetta era praticamente al suo servizio, subendo la scelta degli assessori e assecondando oltre ogni decenza i suoi desideri.
Un silenzio di tomba ha avvolto i leader politici siciliani e non, di centrodestra e centrosinistra. I “rivoluzionari” 5 stelle dell’isola - dopo un’ “avventata” presa di posizione iniziale - si sono dolcemente mischiati al coro.
Mute le più importanti associazioni antimafia che con gli amici di Montante hanno firmato protocolli di legalità, zitte quelle antiracket che sono state le prime - con Legacoop e il sindaco di Catania Enzo Bianco - "a esprimergli solidarietà" il giorno in cui è affiorata la dubbia fama del personaggio.
In questi giorni di clamore nessuno ha però ricordato un episodio per nulla irrilevante. Un paio di settimane prima della notizia su Montante indagato, nel gennaio 2015 il ministro dell’Interno Angelino Alfano - altro sprofondato nel silenzio - nominò l’imprenditore all’Agenzia dei beni confiscati, struttura che gestisce un tesoro di 30 miliardi di euro. Su 60 milioni di italiani, Alfano scelse proprio lui. L’uomo giusto al posto giusto.

Tratto da: La Repubblica

Foto © Imagoeconomica

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