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luana de francisco 2di Luana De Francisco
Quando usciva di casa, al volante della sua Ferrari Scaglietti nera, con l'aria del boss siciliano che al bar va accompagnato da servizievoli picciotti, in paese non passava inosservato. Ma nessuno, fuorché i carabinieri, si era mai chiesto chi fosse, perché avesse deciso di trasferirsi in Friuli e da dove gli derivasse tutta quella fortuna.
A spiegarlo poi sono stati i blitz della direzione investigativa antimafia di Palermo e le cronache dei giornali, dal 2010 in poi: Vincenzo Graziano, reggente della famiglia dell'Acquasanta nel mandamento di Resuttana, aveva scelto il piccolo comune di Tavagnacco, nell'hinterland udinese, per trapiantarvi famiglia e aziende.
Imprenditore mafioso al servizio esclusivo di Cosa nostra – e in particolare dei Madonia – con interessi nei settori delle costruzioni e del mercato immobiliare, qui aveva trovato una sorta di zona franca in cui insediare parte delle società della sua holding criminale.
Proprio come il fratello Domenico e il nipote Camillo. Tutti insospettabili vicini di casa, nell'immacolata isola felice friulana, ma con un pedigree da fare accapponare la pelle. Compresa l'accusa che nel dicembre 2014 raggiunse Vincenzo in carcere, di nuovo al 41 bis dopo due condanne definitive: Vito Galatolo, suo ex capo, lo aveva indicato tra gli uomini del commando incaricato da Matteo Messina Denaro di fare saltare in aria il pm Nino Di Matteo.
In Friuli Venezia Giulia la mafia c'è, ma non si vede. Per riconoscerla, bisogna armarsi di pazienza e passare al setaccio montagne di visure camerali. E' lì, in mezzo alla miriade di piccole e medie imprese che, nonostante i venti di crisi, rendono ancora dinamica l'economia friulana, che vanno cercati nomi e cognomi. Dalle montagne della Carnia, alle spiagge di Lignano Sabbiadoro, tra pizzerie, sale giochi e centri commerciali. Avamposti di delocalizzazione che, aggredendo silenziosamente il tessuto imprenditoriale ed economico, obbediscono a un unico imperativo: investire vagonate di denaro di dubbia provenienza nella parte sana del Paese.
Il caso di Giuseppe Iona, dell'omonima cosca di Belvedere Spinello, è emblematico. Sfuggito alle sanguinose faide calabresi, in Friuli si stabilì alla fine degli anni '90 per replicare ciò che aveva imparato a fare nella terra madre. E cioè trafficare in droga e armi, ma travestito da imprenditore nel campo edile e del movimento terra. Questo, almeno, è ciò che emerge dall'attività investigativa di Trieste culminata nell'estate del 2016 in un'imputazione senza precedenti in regione: l'esistenza dal 2008 di un'associazione a delinquere di stampo mafioso, con base a Monfalcone, in provincia di Gorizia, organizzata a immagine e somiglianza di una 'ndrina.
A dirigerla sarebbe stato proprio Iona, con l'appoggio della "locale" di Rho, in cambio del 5 per cento sui ricavi illeciti mensili. Parola del pentito Francesco Oliverio. E' per effetto delle sue rivelazioni che si è anche riaperto il giallo dell'omicidio di Paolo Grubissa, trovato nel 2003 con una pallottola in bocca, in fondo a un bidone colmo di cemento e seppellito in una cava, a Sagrado d'Isonzo, sulla strada tra Gorizia e Monfalcone.
All'epoca, gli inquirenti parlarono di delitto passionale e il colpevole, il suo datore di lavoro, fu condannato a 20 anni. Ora il colpo di scena: Grubissa sarebbe stato ammazzato su ordine di Iona, perchè a conoscenza dei business illegali che insieme al suo titolare intratteneva con i Paesi dell'ex Jugoslavia. Traffici d'armi.
Ed è sempre in quegli anni che la procura antimafia triestina punta i fari su un gruppo criminale cresciuto nel sottobosco dei "trasfertisti" della Fincantieri, a Monfalcone, e sorretto dagli interessi della Camorra. "Torre Annunziata", così fu chiamata l'operazione che portò a condanne per decine di anni di galera per associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di droga, con l'aggravante del metodo mafioso. Il capozona, l'uomo scelto dal clan D'Alessandro per gestire il quartier generale friulano anche a suon di rapine, era un bidello. Mite all'apparenza, spregiudicato nei fatti. "Digli che se non paga subito, lo prendo a lui e alla sua famiglia, lo porto con me fino a Napoli e lo sparo", disse al telefono, ignaro d'essere intercettato, parlando di un debitore.
Corsi e ricorsi storici. Risale al gennaio scorso l'arresto di un operaio dipendente di una ditta subappaltatrice di Fincantieri: in città da sei mesi, apparterrebbe a un'associazione a delinquere di stampo mafioso che fa capo al clan Gionta.
Ancora in corso anche l'inchiesta della Dda di Palermo scaturita dalle dichiarazioni di Angelo Fontana, pentito di Cosa nostra condannato all'ergastolo, e che ricostruisce la trama degli appalti su cui la sua famiglia e quella dei Galatolo misero le mani, dagli inizi del 2000, su lavori di “coibentazione e piastrellamento” nei cantieri navali del Nord. Compresi quelli monfalconesi, quindi, attraverso società intestate a prestanome e faccendieri in grado di monopolizzare servizi a basso indice tecnologico, ma a elevata remunerazione. E di reimpiegare così, ancora una volta, parte del denaro sporco accumulato al sud.
Proprio come si ritiene stessero continuando a fare, indisturbati, i Piromalli di Gioia Tauro, attraverso la filiera agroalimentare e la catena di negozi di abbigliamento controllati al nord. Le perquisizioni dei carabinieri del Ros di Reggio Calabria risalgono allo scorso febbraio e dalla Lombardia sono arrivate anche a Nord-Est. L'ennesima sberla ai friulani: al centro commerciale Bennet di Pradamano, alle porte di Udine, due punti vendita a marchio francese erano stati aperti da una società riconducibile alla 'ndrangheta.
Ed esattamente com'era avvenuto in provincia di Pordenone una quindicina d'anni fa, quando due costruttori affiliati degli Emmanuello, l'articolazione gelese di Cosa Nostra, si erano aggiudicati l'appalto milionario bandito dalla Nato per l'ampliamento della base Usaf di Aviano.
L'impressione, va da sé, è che quella fin qui svelata dall'attività investigativa non sia altro che la punta di un iceberg criminale che, da anni e in silenzio, continua a espandersi anche in questo lembo estremo del Paese, al confine con la Slovenia delle case da gioco e l'Austria dei paradisi fiscali, ricco e troppo a lungo indifferente ai segnali di pericolo che pure lo hanno indiscutibilmente attraversato.

Fonte: mafie.blogautore.repubblica.it

Tratto da: "Mafie da un'idea di Attilio Bolzoni"

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