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minacce giornalisti mafiadi Paolo Borrometi
L’approvazione all’unanimità, 381 voti a favore e nessun contrario, della relazione della commissione Antimafia sui giornalisti minacciati dalle mafie è un’ottima notizia. I contenuti attenti, la disamina territoriale che la commissione parlamentare sul contrasto alle mafie ha realizzato è una pietra importante, fondamentale, per chi ogni giorno cerca soltanto di fare il proprio lavoro: informare e contribuire a rendere i lettori sempre più consapevoli di ciò che accade intorno a loro. Il dossier fortemente voluto dalla presidente Rosy Bindi e dal suo vice, Claudio Fava, rompe il tabù che la politica aveva creato attorno alle penne, troppo spesso intrise di sangue al posto dell’inchiostro. Parte dai dati di Ossigeno per l’informazione, l’osservatorio indipendente che da anni rendiconta delle minacce subite dai giornalisti in tutta Italia e raccoglie le tante sollecitazioni poste in essere da Articolo 21 e da Libera Informazione.

Alla base di tutto ci sono le “parole” che, come dicevamo, troppo spesso sono state intrise di sangue, articoli che diventano incubi, inchieste che scottano e costano carissime a chi le realizza. D’altronde un giornalista che non scrive la verità, che non si guarda intorno, che non ha il coraggio di denunciare, non è solo una persona che semplicemente non sta facendo il proprio dovere nei confronti dell’opinione pubblica, ma avrà anche la responsabilità di portarsi sulla coscienza i dolori, le sopraffazioni e le ingiustizie subite dalle migliaia di cittadine vittime delle mafie, del malaffare, della corruzione. Portato a casa il successo, però, bisogna realmente adottare strumenti normativi per far sì che questa importante relazione non rimanga “lettera morta”, partendo proprio dalle considerazioni che hanno illuminato l’attività di Roberto Morrione e del compianto Santo Della Volpe: le querele temerarie, diventate uno degli strumenti di intimidazione preventiva più utilizzato ed efficace.

Giuseppe Giulietti, prosecutore dell’azione di Santo Della Volpe come presidente della FNSI ha lanciato a Matera, in occasione del congresso nazionale dell’Unione Cattolica Stampa Italiana, la proposta di una cauzione del querelante. Nelle prossime settimane nuovi strumenti normativi saranno all’ordine del giorno del Parlamento e non mancherà occasione, se la politica vorrà realmente affrontare il tema, di inserire nei disegni di legge la temerarietà delle querele. In altri Paesi chi presenta una querela deve versare una cauzione che servirebbe a risarcire il querelato in caso di assoluzione. Proprio in Italia, con il dilagante ricorso alle querele, la cauzione del querelante (metà della richiesta di risarcimento), rappresenterebbe un sistema utile ad evitare quella che è diventata una vera e propria minaccia al diritto di cronaca.

Come è facile da comprendere, chi querela potrebbe continuare a farlo ma accollandosi il “rischio” di dover esser lui a risarcire il giornalista che ha fatto solo ed unicamente il proprio lavoro, nell’eventualità si trattasse di un’azione temeraria (i dati sulle querele sono “drammatici”, più del 60 per cento si risolvono in archiviazioni).  Convinciamoci che questa è una lotta non per i giornalisti (o ancor peggio per i cosiddetti giornalisti minacciati), ma per la libertà di informazione e i lettori.

Il giornalista che cederà alle intimidazioni ed alle querele temerarie non avrà perso la propria battaglia personale, ma avremo perso tutti, consegnando i propri lettori ad un oscurantismo della conoscenza. Non è in ballo il problema di singoli, ma di tutti. Decidiamo cosa fare di questa straordinaria possibilità data dalla Relazione dell’Antimafia.
(5 marzo 2016)

Tratto da: articolo21.org

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