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di Nicola Tranfaglia
Ventidue anni fa, nel settembre 1993, ebbi tra le mani perché l'editore romano Coletti me lo aveva spedito un libretto intitolato il Memoriale di Aldo Moro rinvenuto in via Monte Nevoso a Milano a cura di Francesco M. Biscione, uno studioso che, alcuni anni dopo, avrebbe scritto un libro che io considero ormai il migliore sullo statista democristiano ucciso dalle Brigate Rosse pubblicato l'anno scorso dalle edizioni Kaos. (S. Flamigni, "Patto di omertà, Il sequestro e l'uccisione di Aldo Moro. I silenzi e le menzogne della versione brigatista." Ebbene in quel memoriale, riportato parzialmente anche nella relazione presentata da Giovanni Pellegrino a conclusione dei lavori della Commissione Stragi due anni dopo, Aldo Moro dice a proposito della strage di Piazza Fontana presso la Banca nazionale dell'Agricoltura, avvenuta il 12 dicembre 1969 nella ex capitale lombarda, frasi significative che voglio citare prima di rievocare, sia pure brevemente, quei tragici avvenimenti." Moro scrive a pagina 53 in quel Memoriale: "Io però, personalmente e intuitivamente, non ebbi mai dubbi e continuai a ritenere (e manifestare) almeno come solida ipotesi che questi ed altri fatti che si andavano sgranando fossero di chiara matrice di destra ed avessero l'obbiettivo di scatenare un'offensiva di terrore indiscriminato (tale è proprio la caratteristica della reazione di destra) allo scopo di bloccare certi sviluppi evidenti che si erano fatti evidenti a partire dall'autunno caldo e di ricondurre le cose, attraverso il morso della paura, ad una gestione moderata del potere."

Quella strage possiamo dirlo oggi con certezza fu la "madre di tutte le stragi successive", fece esplodere un chilogrammo di tritolo e provocò 17 morti e 88 feriti. A Roma ci furono 16 feriti: una alla banca Nazionale del Lavoro in via San Basilio, due all'Altare della Patria in piazza Venezia. Da Milano il prefetto Libero Mazza, su segnalazione dell'Ufficio Affari Riservato del Viminale diretto allora da Luigi D'Amato, avvertì il presidente del Consiglio dei Ministri, Mariano Rumor: "L'ipotesi attendibile che deve formularsi indirizza le indagini verso gruppi anarcoidi." La sera stessa intervistato da Tv7 Indro Montanelli espresse dei dubbi sul coinvolgimento degli anarchici per varie ragioni e vent'anni dopo ribadì quella tesi affermando: "Io ho escluso immediatamente la responsabilità degli anarchici per varie ragioni. Prima di tutto, forse per una specie di istinto, di intuizione ma poi perché conosco gli anarchici: gli anarchici non sono alieni dalla violenza ma la usano in altro modo: non sparano mai nel dubbio, non sparano mai nascondendo la mano. Quindi, quell'infame attentato non era di marca anarchica o anche se era di marca anarchica veniva da qualcuno che usurpava la qualifica di anarchico ma non apparteneva certamente alla vera categoria che io ho conosciuto ben diversa e che credo sia ancora ben diversa...".
A quell'avvenimento tragico si legano la morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli che non è mai stato chiarito dalla magistratura e che ancora oggi è difficile se non impossibile ritenere sia stato un suicidio perché l'anarchico aveva un alibi fondato e perché sapeva di essere innocente. In seguito, o meglio il 17 maggio 1972, a lungo considerato da una parte dei media come il possibile autore della morte di Pinelli, il commissario Luigi Calabresi venne ucciso da militanti di estrema sinistra, gli stessi che avrebbero fondato il movimento terroristico di Prima Linea. E tuttavia, a 46 anni dai fatti, è il caso di ricordare che la pagina di storia che parte da piazza Fontana e prosegue con la nascita e le imprese di terrorismi di opposto colore (dai Nar alle Brigate Rosse e a Prima Linea) attende sul piano giudiziario, come su quello storico, una ricostruzione che è ancora difficile, se non impossibile, compiere.

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