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ingroia-antonio-web11di Antonio Ingroia - 20 novembre 2012
Prima settimana di lavoro alla Cicig, l’organismo costituito dalle Nazioni Unite per contrastare quelle che qui chiamano ‘las redes criminales’, le reti criminali dove si intrecciano i cartelli dei narcotrafficanti con le strutture sopravvissute al regime militare e alla guerra civile. È questo intreccio fra criminalità organizzata comune e strutture illecite ancora incorporate dentro lo Stato che rendono difficile il processo democratico in questo Paese e rendono l’impunità così diffusa, specialmente dentro la sua classe dirigente.

È stato dunque un giudizio affrettato il mio quando ho scritto esserci più speranza qui che in Italia? Forse no. Confrontando i giornali più letti nei due Paesi temo di avere ancora ragione. Come Marco Travaglio ha già osservato in queste stesse pagine qualche giorno fa, colpisce che Piero Ostellino, dalle colonne di un autorevole quotidiano, abbia liquidato il caso del generale Petraeus come un esempio di un deprecabile “bigottismo sociale” collettivo, trascurando del tutto i rischi per la sicurezza nazionale e internazionale che ha imposto le dimissioni del capo della Cia.

MA ANCOR PIÙ sono rimasto colpito quando mi sono imbattuto in un commento di un giornalista qui piuttosto autorevole, Ricardo Trotti, pubblicato sabato scorso sul quotidiano conservatore Siglo 21. L’articolo aveva già un titolo inequivoco e intrigante: “De Calígula a Berlusconi; y Petraeus”. Ovvio che la mia curiosità sia cresciuta dopo aver letto l’attacco del pezzo, dove l’autore inizia osservando che gli scandali sessuali sono sempre esistiti “desde el incestuoso Caligula al pervertido Berlusconi y del infiel Clinton al torpe Petraeus”. Testuale dall’originale in spagnolo, credo non sia necessaria la traduzione.

QUEL CHE più colpisce non è il colorito fraseggio del giornalista, ma le sue considerazioni quando rileva che gli scandali sessuali oggi hanno un maggiore impatto perché oggi c’è maggiore consapevolezza che quelle che lui chiama “le condotte improprie” degli uomini di Stato minano la credibilità delle istituzioni. E che perciò è stata corretta la decisione di Petraeus di dimettersi dalla guida della Cia, perché non si trattava soltanto di una vicenda privata, ma era stata messa a rischio la sicurezza nazionale per l’accesso che la giovane amante del generale potenzialmente aveva a informazioni riservate. Possibile che una cosa cosí ovvia non lo sia anche nel dibattito del nostro Paese?

Continuando a sfogliare i giornali italiani, leggo anche che la tensione sociale e politica cresce. E cresce il rischio che la violenza salga. Gravi e preoccupanti gli abusi di alcuni poliziotti dimostrati da foto e video davvero impressionanti che circolano su Internet e che offendono i tanti poliziotti che fanno onestamente il loro lavoro e rischiano quotidianamente la vita contro le mafie di ogni tipo. E perciò è confortante la notizia delle indagini in corso da parte della Procura di Roma e della Digos. Anche così si difende, nello stesso momento, la reputazione di tanti poliziotti onesti e il diritto di libera manifestazione dei giovani e dei cittadini.

OCCORRE determinazione anche contro gli abusi per impedire che cresca la spirale della violenza. Guai a seguire la china della militarizzazione dell’ordine pubblico. È quello che accaduto in tanti Paesi dell’America Latina. È quello che è accaduto anche qui, in Guatemala, dove l’esercito viene ancora utilizzato dal governo per compiti di ordine pubblico. E il 4 ottobre scorso, alcuni militari hanno sparato contro una folla di manifestanti, appartenenti alla comunità indigena Maya di Totonicapán, uccidendo sei persone. La Cicig, l’ufficio di cui ora faccio parte, ha aperto immediatamente un’inchiesta e il 12 ottobre sono stati arrestati i responsabili, compreso il colonnello dell’esercito che comandava i militari che hanno sparato. E anche questo esempio come il primo mi conferma che il mio Paese può fare di più per far crescere la democrazia e difendere i diritti dei propri cittadini.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

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1° - Diario dal Guatemala. "C'è più speranza qui che a casa nostra"

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