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tranfaglia-nicola-web7di Nicola Tranfaglia - 15 ottobre 2012
E’ proprio vero che, in questo periodo, è particolarmente difficile il rapporto tra la classe politica e la società italiana nel suo complesso.
Trovo una prova lampante di questa crescente difficoltà, favorita a volte da un’informazione giornalistica e televisiva che, per seguire gli amici economisti de La voce-info come Michele Polo (autore del recentissimo L’informazione che non c’è (ed. il Mulino) ed altri, appare sempre più lacunosa.

Attenta purtroppo al potere e poco ai suoi utenti, che sempre più si assottigliano, nel dibattito in corso a proposito della legge sulla corruzione in parlamento. Così come è, la legge è quasi inutile.
Non c’è l’autoriciclaggio, cioè “l’attività di chi occulta i proventi dei propri crimini”. E una norma simile esiste invece in tutta l’Europa.
Ma, se andiamo avanti nell’esame del provvedimento come è ancora oggi, scopriamo che il voto di scambio (quello di cui si sarebbe servito con la ‘ndrangheta l’ex assessore del PDl nella giunta Formigoni in Lombardia Zambelli) è punibile solo se il politico lo paga in contanti ma non se lo compra (come avviene di solito) con assunzioni, appalti e favori.
Ancora la legge non interviene sul reato del falso in bilancio, svuotato del suo effettivo contenuto dalla legge berlusconiana del 2002, eppure proprio nello scandalo in Lombardia che ha investito la giunta Formigoni, le sovrafatturazioni che sono alla base del crac di un miliardo di euro del San Raffaele  rientrano proprio in quel reato opportunamente indebolito o meglio in gran parte annullato appunto nel 2002 dall’imprenditore di Arcore, divenuto per la seconda volta presidente del Consiglio dopo le elezioni del 2001.
Manca inoltre la prescrizione lunga che è stata a lungo presente nel periodo liberale come in quello repubblicano e che garantisce la punizione di chi qualche anno prossimo (scoperto in ritardo) si è reso colpevole di un reato grave proprio nelle materie che vedono agire insieme le istituzioni, i politici e gli imprenditori. E che ha incominciato a mancare proprio dall’aprirsi della lunga età populista che dopo più di quindici anni ancora ci affligge.
Inoltre non c’è nella legge in discussione l’immediata incandidabilità per garantire liste pulite nelle prossime elezioni amministrative e quindi politiche che ci attendono.
Infine -come ha scritto Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera- l’introduzione del “traffico di influenze” che si fa bene a introdurre, ”anziché riprendere il testo delle convenzioni internazionali sulla corruzioni”, cerca di arrivare a un testo poco limpido che prevede pene così basse da non consentire le intercettazioni.
Di fronte ai difetti così gravi di una legge, che pure è assolutamente indispensabile, c’è da chiedersi sul piano politico e culturale quale atteggiamento assumere: pronunciarsi perché sia approvata comunque o affermare, in ogni caso, che i difetti sono tali e tanti da distruggerne alla radice l’efficacia di cui ha bisogno?
Si tratta di un dilemma di così difficile soluzione che mette-mi pare-in luce la profondità della crisi morale e politica dell’Italia di oggi ma non è il caso, mi pare, per noi italiani di mettere la testa sotto il tappeto e batterci per la legge così com’è ignorando i punti deboli eccessivi che la denotano e che rischiano di farne un oggetto inutile e alla fine persino menzognero e ingombrante.

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