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borsellino-salvatore-cs-webdi Rossella Fierro - 25 giugno 2012 
Dottor Borsellino, tra intercettazioni, smentite e accuse, in questi giorni sta venendo fuori la verità che lei sostiene da 20 anni. Vengono fuori nomi importanti. Primo tra tutti quello di Nicola Mancino. Il tempo le sta dando ragione?


Da anni sostengo che Mancino abbia incontrato Paolo il primo luglio del ‘92 nel suo studio. C’è la testimonianza di Gaspare Mutolo, il pentito che Paolo stava interrogando quando gli arrivò la telefonata direttamente dal ministro.

Paolo gli disse ‘torno tra un paio d’ore’ e, racconta Mutolo, che al rientro mio fratello era talmente nervoso che addirittura mise in bocca due sigarette contemporaneamente. Sono convinto che in quella data Mancino comunicò a Paolo l’esistenza di una trattativa tra Stato e Mafia. Gli avrà chiesto di interrompere le indagini sulla strage di Capaci, per le quali Paolo aveva chiesto di essere ascoltato dalla Procura di Caltanissetta. Cosa che non avvenne perché lo ammazzarono prima.

Eppure Mancino non ricorda di aver incontrato Paolo Borsellino.

Mancino lo ha sempre negato, esibendo delle agende praticamente vuote, con solo tre righe di planning settimanale. Lei immagina l’agenda di un ministro con solo tre righe di impegni in sette giorni? A fronte di questo c’è un’altra agenda di Paolo, quella grigia, dove lui ogni sera annotava tutte le spese fatte durante il giorno e le persone incontrate. Alle 19,30 del primo luglio c’è annotato il nome di Mancino. E’ inutile continuare a negare. Mancino nella sua a mio avviso evidente menzogna sceglie peraltro una linea assurda, perché dice che se pure avesse incontrato Paolo non avrebbe potuto ricordarsene, perché non lo conosceva fisicamente. Ora che una persona capace di intendere e volere, per di più ministro degli interni, dice di non conoscere il volto di Paolo Borsellino il 1 luglio del ’92, cioè quando dopo la strage di Capaci, campeggiava sui giornali e in tv tutti i santi giorni, è una cosa assurda. Tutti conoscevano Paolo e sapevano che sarebbe stata la prossima vittima. Questi sono dati di fatto.

Lei ha letto le intercettazioni telefoniche tra Mancino e il consigliere del Quirinale D’Ambrosio, le richieste di unificare in un’unica procura le indagini, la paura del confronto con Martelli. Dopo l’intervento del capo dello Stato Lei ha chiesto l’impeachment. Si sta scardinando un sistema?

Le reazioni a cui stiamo assistendo, da quando Spatuzza e Ciancimino hanno iniziato a parlare di ‘trattativa’ sono sintomatiche della paura che si ha ora che finalmente si sta rompendo la congiura del silenzio durata per 20 anni. E’ il tentativo di bloccare la Procura di Palermo, i cui magistrati stanno mettendo in evidenza le contraddizioni, emerse soprattutto dal confronto con Martelli. Mancino è indagato per aver reso falsa testimonianza davanti a un pubblico ministero e cerca di correre ai ripari. Per questo si è rivolto al Quirinale, da cui ha avuto purtroppo un assist che io non mi aspettavo. Purtroppo in questi giorni mi sto rendendo conto che le più alte cariche dello Stato non vogliono riaprire la porta della verità, avallando in qualche maniera le richieste di Mancino per fermare i magistrati. Per fortuna il procuratore nazionale antimafia Grasso si è opposto alla richiesta di creare un coordinamento tra le tre procure e di intervenire su quella di Palermo. Mancino continua a tirare in ballo chi come lui è in qualche modo coinvolto nella trattativa. D’altra parte un ventennio di silenzio è stato possibile solo per l’esistenza di complicità a tutti i livelli.
Se cominciassero a parlare Violante, Conso, Martelli e chissà quanti altri, se avessero parlato Scalfaro e Parisi prima di morire…

Quello versato da suo fratello Paolo, da Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, dagli agenti delle scorte e, se permette senza retorica, quello della giovanissima Rita Atria, è sangue versato da uomini di giustizia. Cosa ha fatto lo Stato per voi in questi 20 anni?

E’ una domanda che mi genera un riso amaro. Pezzi dello Stato, non lo Stato nella sua interezza perché quello lo siamo anche noi, hanno fatto quello che oggi finalmente è davanti agli occhi di tutti. Depistando ad esempio le indagini facendo si che il processo non prendesse la giusta strada, cioè non arrivasse a quella famiglia dei Graviano che ha organizzato per conto di qualcuno la strage, perché probabilmente attraverso di loro si sarebbe potuti arrivare a personaggi insospettabili e intoccabili. Questo ha fatto lo Stato, proponendo poi risarcimenti inaccettabili per i familiari delle vittime, che io ho rifiutato perché sostengo che lo Stato deve prima di tutto darci giustizia. E’questo l’unico risarcimento che vogliamo, ma non in quanto famiglia Borsellino, ma come cittadini italiani. Perché quando parliamo di Paolo, parliamo di un magistrato che se fosse rimasto in vita, forse avrebbe dato a questo Paese un futuro diverso. Se mai venisse alla luce l’agenda rossa che è stata trafugata dall’auto di Paolo, forse si potrebbero riscrivere parecchie pagine della storia di questo Paese.

Appunto l’agenda rossa. Alla luce degli ultimi avvenimenti, si è fatto un’idea più chiara su chi possa aver fatto sparire l’agenda rossa di Paolo?

Sicuramente non la mafia, almeno non direttamente senza complicità istituzionali. Chi ha rubato l’agenda rossa fa parte di quei servizi che chiamano deviati, ma che deviati non sono perché hanno sempre agito in maniera mirata. Un attimo dopo l’esplosione, c’era già qualcuno pronto in via D’Amelio a prelevare quella borsa e fare sparire l’agenda. (esistono le foto). Quell’agenda rappresenta una pietra tombale messa sulla giustizia. Pochi giorni fa mio nipote Manfredi ha dichiarato che quando gli fu riconsegnata la borsa di Paolo, la aprì e subito chiese che fine avesse fatto l’agenda, perché sia la moglie che la figlia avevano visto Paolo posarla in borsa prima di partire per il suo appuntamento con la morte. La Barbera lo aggredì, dicendo che non ne dovevano parlare, la dovevano smettere con quelle fantasie. Questo fa capire che rappresentava un pericolo per qualcuno.

Fino all’ultimo giorno della mia vita, è il titolo del libro in cui Lei racconta Paolo, la strage e la ricerca di verità, ma è anche la sua ragione di vita che, nel corso degli anni ha saputo incontrare la voglia di giustizia di tanti ragazzi. Quegli stessi a cui suo fratello si rivolgeva. Paolo Borsellino ne sarebbe stato felice?

Si. Tanti di questi ragazzi non erano neanche nati quando Paolo è stato ucciso. Oggi posso dire che ho potuto riacquistare la speranza della verità proprio grazie a loro che hanno voglia di sapere e di combattere. Non posso dire lo stesso degli adulti: per molti di loro vale quello che disse Berlusconi alla notizia della riapertura delle indagini su Capaci e via D’Amelio. Ricorda? Le definì ‘vecchie storie’. Invece quelle stragi, quel sangue versato, hanno bisogno di una richiesta collettiva di giustizia. Altrimenti si verificherà quello che ha detto Ingroia cioè “siamo arrivati all’anticamera della verità. Abbiamo socchiuso solo una porta”. Adesso c’è una forte resistenza ad aprire quella porta, se si dovesse richiudere credo che non si arriverà mai alla verità.

Il 19 luglio si avvicina, via D’Amelio sarà piena di giovani e forse deserta come accade negli ultimi anni dalle istituzioni. Il Presidente Napolitano ad esempio ha ‘anticipato’ la visita al 23 maggio. E’ forse più giusto così? E’ più rispettoso, dal suo punto di vista, della memoria di Paolo?

Da quattro anni io e il movimento delle agende rosse siamo in via D’Amelio proprio per impedire che degli avvoltoi vengano lì, ad oltraggiare il luogo dove hanno provocato la morte di Paolo. Non mi rammarico assolutamente che non vengano i rappresentanti delle istituzioni. Se dovessero presentarsi noi non faremo altro che una contestazione civile. Ci gireremo di spalle e alzeremo in alto le agende rosse. Niente altro. Ma è evidente che le istituzioni hanno paura di una simile contestazione, perché quell’agenda rossa rappresenta per loro un peso troppo difficile da sostenere, per questo non verranno.

(pubblicato su www.ilciriaco.it il 23 giugno 2012)

Tratto da: malitalia.it

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