di Roberto Scarpinato* - 15 marzo 2012
“Le misure di austerità, inevitabili e necessarie sono irrealizzabili senza una democrazia funzionante e una classe politica incorrotta. Ambedue le cose mancano in Grecia, a causa di una storia postbellica caratterizzata da profonda sfiducia nello Stato e da una cultura della legalità inesistente”. Con queste parole, riportate da Barbara Spinelli in un suo articolo, Alexis Papahelas, direttore del quotidiano Kathimerini, nel giugno 2010 pronosticava l’irredimibilità della crisi del suo paese, individuandone le cause in un male interno – sfiducia nello Stato e illegalità dilagante – giunto ormai alla sua fase terminale.
Per questo motivo, secondo Papahelas, la lotta all’impunità era un fattore indispensabile della ripresa; la vera cura consisteva “nell’approvazione da parte di tutti i politici di un emendamento costituzionale che annulli l’immunità garantita a ministri o parlamentari passati e presenti, e che porti davanti alle corti o in prigione i truffatori e gli evasori fiscali”
Il caso greco offre importanti spunti di riflessione per l’Italia, paese nel quale la cultura della legalità è pure pressoché inesistente come attestano, tra i tanti indicatori, le dimensioni di massa della corruzione e dell’evasione fiscale, e, soprattutto, lo statuto impunitario garantito a corrotti ed evasori da una successione di leggi che nel loro sapiente e progressivo stratificarsi hanno dato vita a un sistema che, come ha recentemente dichiarato il Ministro della Giustizia Paola Severino, “scoraggia gli investitori premiando i corrotti e chi non paga, penalizzando le persone oneste”.
Rispetto alla Grecia, l’Italia annovera un male in più: una mafia che ha compiuto un salto di qualità. Mentre i media e l’industria culturale continuano a puntare il focus dell’attenzione sulla mafia del racket e del traffico degli stupefacenti, le nuove aristocrazie mafiose, dismessa la vecchia pelle del serpente, si stanno pacificamente integrando con l’economia legale, colonizzando anche il centro Nord all’insegna del sacro principio secondo cui “ Business are business”.
Da un capo all’altro della penisola, le indagini penali aprono spiragli su mille segreti matrimoni di interessi - celebrati sui terreni infetti della corruzione e di una economia sempre più deregolata - tra i colletti bianchi delle mafie e segmenti delle nomenclature del mondo economico e politico.
Chi conosce la storia italiana sa che corruzione ed evasione fiscale sono componenti risalenti e stabili della costituzione materiale del paese, con le quali, il sistema Italia ha imparato a convivere pagando prezzi altissimi. Analoghe considerazioni valgono per il male di mafia che, oggi come ieri, nonostante i successi ottenuti nel contrasto alla mafia militare, continua purtroppo a restare pressoché intangibile nel suo cuore di tenebra che si annida all’interno della c.d. borghesia mafiosa, vecchia e nuova, nucleo duro e stabile di un potente blocco sociale in grado di aggregare e orientare quote rilevanti di consenso sociale nel libero gioco democratico.
* Procuratore Generale di Caltanissetta
SCARICA L'ARTICOLO INTEGRALE Il governo Monti e il ''male italiano''