Mario Ridulfo smonta la retorica della sorella del giudice: “Il diritto a presentarsi il 23 maggio lo dà la trasparenza dei comportamenti”
L’intervista rilasciata da Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni, dopo i fatti dello scorso 23 maggio sta scatenando diverse reazioni a Palermo. Ed è l’ennesima dimostrazione di come la fondazione di cui è presidente sia emblema di un’antimafia ipocrita ed istituzionale ormai sfiduciata da una fetta consistente della città. A Repubblica, la signora Falcone, ha negato di promuovere passerelle nelle commemorazioni che organizza ogni anno per l’omicidio del fratello, e rispetto alla presenza del sindaco Roberto Lagalla all’Albero Falcone, che in campagna elettorale ha ricevuto il sostegno dei pregiudicati per reati di mafia (Dell’Utri e Cuffaro), ha ribattuto che quando “un candidato viene eletto, bisogna avere rispetto dell'istituzione che rappresenta”. Una risposta che ha provocato l’insurrezione della Cgil, una delle realtà promotrici del corteo a cui martedì la questura voleva impedire l’accesso in via Notarbartolo proprio per non “arrecare disturbo” (ordinanza docet) alla cerimonia e a quanti, come Lagalla, erano stati invitati sul palco. “Secondo il ragionamento di Maria Falcone, se Ciancimino fosse stato sindaco di Palermo avrebbe avuto diritto, lo scorso 23 maggio, a stare su quel palco”, ha detto senza mezze righe il segretario provinciale Mario Ridulfo. “Per me quel diritto, non lo dà il voto, né il diritto costituzionale, ma la coerenza e la trasparenza dei comportamenti, anche nel rapporto con gli amici più intimi e/o addirittura coi familiari". E ha sottolineato: "La lotta alla mafia è impegno quotidiano e disciplina dei comportamenti o altrimenti non è".
Alla professoressa, Ridulfo ha ricordato che "la lunga stagione di lotta alla mafia non è nata il 23 maggio del ’92, ma affonda le radici in un tempo più lontano, in quella stagione dei fasci siciliani (di cui ricorre quest'anno il 130 anniversario), che rappresenta il primo movimento sociale e popolare in lotta contro la mafia e gli amici dei mafiosi". E ha attaccato: "Era la prima forma di associazionismo antimafia, fatta senza fondi e senza retorica". Ridulfo ha fatto riferimento ai finanziamenti che riceve dallo Stato la Fondazione Falcone, criticati ieri anche da Vincenzo Agostino ed altri. Nella nota redatta dal segretario della Cgil si sottolinea poi che “le istituzioni, non sono per principio democratiche", "spesso prima dei mafiosi stessi, facevano sparare sui contadini (la prima strage del 1893 a Caltavuturo e poi Marineo, Giardinello, etc.)", o "condannavano gli sfruttati piuttosto che gli sfruttatori". E nella storia d'Italia, ha aggiunto, gli esempi di istituzioni che ordinavano di sparare sulla povera gente è lungo e terribile e va da Bava Beccaris a Crispi, da Mussolini a Tambroni”. "Nelle fabbriche e nei cantieri, gli operai ci dicono sempre e in Siciliano: 'U rispettu è misuratu, cu lu porta l'havi purtato’”, ha affermato Ridulfo chiudendo con l’ennesima stilettata alla Fondazione Falcone: “Il rispetto per le istituzioni non si misura nemmeno in ragione dei fondi che queste elargiscono, che seppur giusti e necessari per finanziare progetti di legalità, non possono condizionare giudizi e comportamenti".
(Prima pubblicazione: 27 Maggio 2023)
Foto © Alessia Candito
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