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Un mantra che sempre più spesso sentiamo in TV e dalla gente per strada è: “Sono troppi, perché non se ne tornano a casa loro?”.
Ma cos'è 'casa loro'? Un “posto qualsiasi ma l'importante e che non si vedano".
Un luogo dove tutto è permesso, dove la corruzione è la regola, dove lo stupro è pratica abituale. Un luogo dove, per il solo fatto di respirare, essere umani vengono venduti all'asta, torturati, violentati e (quando non servono più) affogati.
Questo inferno ha molti nomi, ma uno dei gironi più terribili è senza dubbio 'Libia': uno Stato che non esiste, un limbo conteso tra due 'presidenti' e da un'ottantina di signori della guerra, chiamati ipocritamente 'sindaci'.
In questo inferno, con la complicità dei governi italiani, si è costruita nel tempo una pila di oltre un milione di corpi che “scavalchiamo tutte le mattine” quando ci laviamo i denti e ci prepariamo per andare a lavorare.
Un dramma, raccontato dal giornalista Nello Scavo di Avvenire sulle carte e sul palco scenico dall'artista Giulio Cavalli, accompagnato dalla chitarra di Federico Rama.
Numeri, dati di inchieste, rapporti, storie dell’orrore, morti, accordi scellerati tra Italia e Libia, criminali internazionali che stringono la mano ai ministri della nostra Repubblica: “A casa loro” oltre ad essere il titolo dello spettacolo continua ad essere quel mantra che raccoglie ancora numerosi consensi elettorali.
Consensi che sostengono decreti come il Decreto-Legge 2 gennaio 2023, n. 1, "disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori" anche detto Decreto Piantedosi.
In sintesi stabilisce che “gli immigrati possono essere raccolti dalle navi delle Ong soltanto una volta”, quindi “se durante il suo viaggio trova un’altra nave il decreto dice che quelle persone non si possono salvare”. Questa legge "ha reso più difficoltoso e più costoso i salvataggi delle vite umane”, ha detto Cavalli dal palco del Teatro comunale di Porto San Giorgio giovedì scorso.
Vite che molto spesso si spengono: "Quando negli uffici della Mezzaluna Rossa squilla il telefono non scatta nessuna corsa contro il tempo. Sanno già di cosa si tratta. 'Cadaveri da ricomporre, non c’è nessuno da soccorrere'. Va avanti così da mesi. Gli operatori sono stati addestrati per salvare vite, ma in Libia è sempre troppo tardi. Alle volte li restituisce il mare, altre vengono scoperti per caso in una buca di sabbia. 'Spesso non si riesce neanche a capire se si tratta di migranti uccisi dagli scafisti, di combattenti eliminati nei regolamenti di conti tra bande di paramilitari, oppure entrambi i casi', spiega una fonte locale".
La verità è intorno a noi: il Mediterraneo è diventato il cimitero liquido dei nostri scheletri ma lì intorno, nelle regioni che scendono per l’Africa, quelle sulla rotta balcanica e nella zona impigliata tra i fili spinati della Turchia ci sono le persone. Persone, semplicemente, con il fardello delle loro storie che hanno l’odore di carne viva, senza valigie ma con quintali di paura, costretti al macabro destino di stare sulle pagine dei giornali o sulle bocche più fameliche della politica sempre alla ricerca del voto facile.
"Il mare non uccide. Ad uccidere sono le persone, la povertà, le politiche sbagliate e le diseguaglianze che rendono il mondo un posto opposto dipendentemente dal nascere dalla parte giusta o sbagliata".
E nulla, nulla, potrà mai fermare un popolo che scappa dalla "fame e dal piombo".
Entrambi figli maledetti (ma onorati) delle nostre politiche predatorie.

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