La denuncia dell’ex presidente del tribunale di Palermo
"Le cose sono molto cambiate su versante della lotta alla mafia. Prima i famigliari delle vittime di mafia non si costituivano neppure parte civile nei processi, ma negli ultimi anni abbiamo assistito a un ritorno di simpatia di qualche persona a Palermo per persone vicine alla mafia. Ed è una riprova il fatto che alle recenti elezioni amministrative a Palermo, dello scorso anno, le carte sono state date da due condannati per mafia, che hanno fatto campagna elettorale. Parlo di Salvatore Cuffaro e di Marcello Dell'Utri, quest'ultimo è stato condannato dal Tribunale da me presieduto". È stata questa la denuncia di Leonardo Guarnotta, ex Presidente del Tribunale di Palermo e già componente del pool antimafia con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Guarnotta, intervenendo alla presentazione del libro 'C'è stato forse un tempo' di Massimo Caponnetto, figlio del capo del pool antimafia Antonino Caponnetto, al Palazzo di giustizia di Palermo, alla presenza del Presidente del Tribunale Antonio Balsamo e della Procuratrice generale Lia Sava, ha ribadito che "siamo nella Palermo di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino, eppure ancora oggi si discute di questo", riferendosi alle elezioni comunali di un anno fa. "Al di là della persona che è stata eletta (Roberto Lagalla, ndr), che è una persona per bene perché la conosco personalmente" ancora "comandano loro, hanno fatto una nuova Dc". "Bisogna prendere atto di questo - ha continuato - le cose devono cambiare per l'avvenire dei nostri e dei vostri figli che non meritano di vivere in una terra in cui comanda ancora chi è stato condannato per mafia. Non ci si deve fermare in mezzo al guado, si deve scegliere" ha detto Guarnotta.
Un'analisi dura che, ricordiamo, era stata espressa anche da Nino Di Matteo, oggi magistrato in forza alla Direzione Nazionale Antimafia, durante un seminario formativo del 'Flc Cgil Camp': “In Sicilia - ha detto il magistrato - comandano e muovono oggi le file della politica, uomini che hanno trascorso molto del loro tempo, negli ultimi anni, nei corridoi e nelle aule dei palazzi di giustizia a difendersi da accuse di contiguità con i mafiosi. Alcuni di quegli uomini politici sono stati condannati, altri sono stati assolti, in altri casi l’indagine è stata archiviata. Ma” - aveva continuato - “sempre sono emersi significativi rapporti con esponenti politici di livello; eppure, questi soggetti continuano a muovere le fila della politica in Sicilia".
“Mi piace ricordare, e sento il dovere di farlo, al di fuori delle ipocrisie, al di fuori della retorica, al di fuori delle commemorazioni, al di fuori delle navi della legalità e al di fuori delle bandiere” quello che disse “Paolo Borsellino nel 1989 in una conferenza con degli studenti di un liceo a Bassano del Grappa”.
“Diceva, il giudice Borsellino, che il dramma di questo Paese sta nel fatto che, a proposito dei rapporti tra la mafia e la politica, se non è dimostrato un reato e quindi non interviene la condanna penale, non si fanno valere le responsabilità politiche di determinate condotte consapevoli. Se non è possibile configurare un reato, se non è possibile provare quel reato, anche se sono provati rapporti consapevoli con mafiosi, in Italia (diceva Paolo Borsellino sin da allora) non scatta mai un meccanismo che faccia valere le responsabilità di tipo politico”.
“I partiti - ha detto - non escludono dalle liste dei loro candidati questi soggetti, anzi spesso li cercano”.
Foto © S.F.
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