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Sempre più diffusa una cultura militarizzata, nei linguaggi e nei simboli: come e perché nasce la Campagna Scuole smilitarizzate

Mamma, ma è scoppiata la guerra? Nicol, 7 anni, ha il terrore negli occhi. E’ il  21 ottobre 2020 e d’avanti all’ingresso di scuola si trova di fronte due militari in uniforme da combattimento, armi alle cintole e manganelli in mano. Poco più avanti, sulla strada, c’è una camionetta dell’Esercito. Massimo di anni ne ha soli 5 e mezzo e frequenta la prima elementare: Papà, sistemiamo bene le mascherine che altrimenti ci sparano… Sì, nonostante l’età, ha compreso bene. Quei due soldati sono a scuola per controllare che si rispettino le regole di distanziamento anti-Covid. Niente assembramenti di bimbi e genitori. Sono gli ordini di Sindaco e Prefetto. A Messina, dove in verità di contagi sino ad allora se ne sono contati davvero pochi.

Contro il presidio armato di una scuola primaria e secondaria di primo grado, l’unica in verità, si scatenano subito le proteste dei genitori, Le redazioni dei giornali vengono investite da una tempesta di chiamate. In poche ore piovono le note di protesta di politici e consiglieri di destra e di sinistra, viene presentata un’interrogazione urgente al primo cittadino e il Garante dell’infanzia, il dottor Angelo Fabio Costantino, rivolge un accorato appello: A tutto c’è un limite, i militari armati dentro le scuole no! Mi riferiscono di bambini di scuola elementare spaventati… Ho promesso un intervento con la Prefettura. Siamo tutti preoccupati per l’aumento dei contagi ma non è terrorizzando i bambini, già provati da numerose rinunce, che riusciremo a contenerlo. Non perdiamo il buon senso: verrà il tempo in cui dovremo prenderci seriamente cura dei nostri fantasmi interni.

L’unanime sconcerto per la militarizzazione delle vite scolastiche di bimbe e bimbi convince le autorità a fare uno, due passi indietro. E il giorno successivo, davanti scuola, per i controlli si presentano due vigili urbani in moto e disarmati. Il Garante ringrazia ma ribadisce la ferma opposizione all’impiego di militari a presidio degli istituti. Piuttosto mi auguro che nella scuola dell’ascolto e dell’accoglienza possano essere presto arruolati maestri, professori ed educatori per dare ai bambini e ai ragazzi tutto ciò di cui hanno bisogno.

Fronte comune allora contro l’illogica e illiberale decisione di inviare l’Esercito in una scuola elementare? Beh, non proprio, perché fuori coro arrivavano le parole del suo dirigente scolastico, colui a cui è affidato il compito primo di assicurare la protezione psicologica e fisica di alunne e alunni. “Così come mi viene riferito dal mio collaboratore di plesso, due giovani militari dell’esercito, in divisa, corredata da tutto ciò che è previsto dalle norme in merito alla dotazione individuale per l’espletamento del servizio, si sono presentati e hanno dichiarato di essere stati inviati per effettuare controlli anti-assembramento previsti dalle misure comunali di prevenzione anti-covid”, dichiarava qualche ora dopo il blitz. “Non avevano armi spianate né manganelli. Il referente ha riferito che, dopo aver saputo dell’allarme dei genitori, ha fatto un breve sondaggio nelle classi. Nessun alunno ha dichiarato di avere paura e molti hanno detto di non aver neanche notato la presenza dei militari davanti alla scuola. Inoltre ho verificato presso la Prefettura che il controllo effettuato rientra tra i normali controlli stabiliti dal Comitato tecnico provinciale nel Patto di Sicurezza Urbana firmato il 14 ottobre 2020 dal Sindaco e dal Prefetto”.

Dichiarazioni incomprensibili, stigmatizzate da un’insegnante indignata di un’altra scuola cittadina. “Il dirigente scolastico – scrive in una nota - oltre ad essere evidentemente anni luce distante dai modelli pedagogici e formativi che dovrebbero fare da fondamento della Scuola della Costituzione repubblicana (il ripudio della guerra e dell’uso illegittimo della forza; l’insostituibilità della figura dell’insegnante e l’educare e il non reprimere), si mostra ciecamente obbediente all’ennesimo Patto per la Sicurezza Urbana, del tutto arbitrario e autoritario e che certamente non può e né deve bypassare i compiti e le responsabilità del personale docente in quella che è la promozione e gestione delle relazioni con i minori”.

Passa un anno e l’insegnante si vede notificato l’atto di chiusura indagini del PM del Tribunale di Messina – dopo querela del dirigente - con la contestazione del reato ex art. 595 del codice penale, diffamazione a mezzo stampa, che prevede una pena da sei mesi a tre anni. Presto si deciderà se l’educatrice e il direttore responsabile di una delle testate che hanno ripreso la rea espressione verranno rinviati a giudizio.

L’incredibile vicenda di Messina è emblematica dei pericolosi processi in atto all’interno della scuola italiana, ulteriormente aggravatisi con la pandemia e le misure di contenimento deliberate dall’esecutivo. Eppure subito dopo l’esplosione dei contagi, nella primavera 2020, ministri, forze politiche e sociali, sindacati e intellettuali si erano pubblicamente impegnati a trasformare la pandemia in un’occasione per rimettere finalmente in discussione i modelli di società e di consumo, puntando in particolare a una trasformazione strutturale del sistema sanitario, scolastico e universitario. A tal fine s’invocarono massicci investimenti finanziari. Arrivò il Recovery Fund ma sappiamo bene come è finita: miliardi di euro per la transizione ecologica ad ENI ed ENEL, altri miliardi per le digitalizzazioni diffuse alle transazionali dell’informatica e della telefonia cellulare e ancora miliardi per la ricerca e lo sviluppo alle holding del complesso militare-industriale (Leonardo, Fincantieri, ecc.). Alle scuole e agli ospedali i pochi spiccioli rimasti.

Contestualmente – e i militari nella scuola elementare ne è un esempio - la risposta istituzionale al coronavirus ha privilegiato lo stato di guerra, i suoi linguaggi, le sue metafore, i suoi simboli. Siamo in guerra! Sarà guerra totale al virus, il nemico invisibile! Tamponi e vaccini, le nostre armi per combattere! Solo una dose è come una pallottola spuntata! Gli ospedali come trincee! Medici e militari i nostri eroi! Zone rosse, arancioni e gialle come i campi di una battaglia che muta e si evolve alla stessa velocità delle mutazioni del nemico. L’emergenza sanitaria, drammatica, reale, rappresentata e manipolata come una crisi bellica globale per consentire autoritarismi, l’affidamento della gestione delle campagne vaccinali a un generale, le militarizzazioni dei territori e della sfera sociale, politica ed economica, i controlli repressivi e le limitazioni delle libertà individuali e collettive.

Uno scenario drammatico che si è sovrapposto a quello della scuola italiana nell’ultima decade, dove accanto alla privatizzazione e precarizzazione del sistema educativo si è assistito alla militarizzazione degli istituti e degli stessi contenuti culturali e formativi. Vengono sperimentati percorsi subalterni alle logiche di guerra e agli interessi politico-militari e geostrategici. Accade che alle città d’arte e ai siti archeologici, le scuole preferiscano sempre più le visite alle caserme e alle basi NATO “ospitate” in Italia o alle industrie belliche. Gli studenti vengono chiamati ad assistere a parate militari, alzabandiera, conferimenti di onorificenze a presunti eroi di guerra. Ci sono poi le molteplici attività didattiche affidate a generali e ammiragli (dall’interpretazione della Costituzione all’educazione ambientale e alla salute, alla lotta alla droga e alla prevenzione dei comportamenti classificati come “devianti”, bullismo, cyberbullismo, ecc.); i cori e le bande di studenti e soldati; gli stage formativi sui cacciabombardieri e le fregate; l’alternanza scuola-lavoro a fianco dei reparti d’élite delle forze armate o nelle aziende produttrici di armi. E c’è stata pure la conversione delle strutture scolastiche a fini sicuritari con l’installazione di videocamere e dispositivi elettronici identificativi e di controllo (tornelli ai portoni, l’obbligatorietà ad indossare badge, ecc.). In un clima di caccia alle streghe, vengono ordinate incursioni della polizia all’interno delle aule con perquisizioni a tappeto e cani antidroga sguinzagliati a sniffare zaini, giacche e cappotti. Proliferano altresì i divieti di assemblea e delle attività autogestite degli studenti e i locali scolastici vengono dichiarati off-limits in orario pomeridiano, mentre viene minacciata l’azione penale contro ogni forma di occupazione. Sono state approvate leggi che conferiscono ai presidi poteri illimitati e istituzionalizzano gerarchizzazioni e discriminazioni tra gli insegnanti. Vengono esautorati gli organi collegiali, precarizzate le figure e le funzioni dei docenti, usati indiscriminatamente i procedimenti amministrativi contro il personale disobbediente.

Insegnanti ed educatori nonviolenti hanno provato a resistere alle scuole militarizzate e armate. Lo scorso anno il Movimento Internazionale della Riconciliazione e Pax Christi Italia, insieme all’associazione SOS Diritti hanno promosso la Campagna Scuole smilitarizzate: Ripudiare la guerra e Promuovere la Pace. “Ci proponiamo di affiancare i docenti nell’effettiva realizzazione di una Cultura di Pace, obiettando alla presenza nelle scuole delle Forze Armate e di attività e progetti mirati ad un precoce reclutamento”, spiegano i promotori. “Desideriamo aprire prospettive di speranza a chi intende trasformare il dramma della pandemia in opportunità di cambiamento autentico e consapevole, per ripensare la scuola e rigenerare la società e collaborare a costruire un futuro di pace e nonviolenza, di sviluppo equo e sostenibile, di giustizia e solidarietà”.

Per il lancio ufficiale della campagna è stato scelto il 2 ottobre, Giornata Internazionale della Nonviolenza, anniversario della nascita del Mahatma Gandhi. Nel segno dell’Utopia: la Scuola post-pandemia che formi le giovani generazioni per far sì che esse siano il cambiamento che vogliono vedere nel mondo.

Articolo pubblicato in Mosaico di Pace, dicembre 2021

Tratto da: antoniomazzeoblog.blogspot.com

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