Antonino Caponnetto, per gli amici “nonno Nino”, è morto a 82 anni il 6 dicembre 2002. A venti anni di distanza rimane uno dei più alti esempi di magistrato siciliano. Era nato a Caltanissetta il 5 settembre 1920. A sei anni la sua famiglia si trasferì a Firenze e in Toscana egli si laureò e salì i più importanti gradini della carriera di magistrato. Quando nel 1983 venne ucciso Rocco Chinnici, creatore, nel 1980, del pool antimafia, decise di trasferirsi a Palermo, prenderne il posto e proseguirne il lavoro, chiamando con sè Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Gioacchino Natoli, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta. Il lavoro capillare di questi magistrati portò all’arresto di 400 mafiosi e, a cominciare dal 10.2.1986, al maxi-processo che, per la prima volta portò alla sbarra i principali mafiosi del momento.
Nel 1990 decise di tornare a Firenze e indicò come suo successore Giovanni Falcone, ma il C.S M scelse Antonino Meli, e Caponnetto parlò di una decisione fatta con “cinque vergognose, letali, astensioni e due voti di maggioranza”, parlando anche lui, come Paolo Borsellino, di Giuda presenti fra coloro che parteciparono alla votazione. Rimase famoso il suo sfogo allorchè venne ucciso Borsellino: “E’ finito tutto”, anche se poco dopo chiarì che era stato il dolore di un momento e che la lotta contro la mafia doveva continuare.
Questo è il mio ricordo di Antonino Caponnetto, descritto nel libro “Cento passi ancora”
25 maggio 1987: Antonino Caponnetto
Chiediamo un incontro con Caponnetto. Vado con Felicia, Giovanni, e Umberto. Giovanni chiede di riaprire l’inchiesta.
Caponnetto: -“Voi conoscete la mia amarezza per aver dovuto chiudere il caso senza nulla di fatto. La storia e l’omicidio di questo giovane mi hanno colpito profondamente e sarei stato felice di potere assicurare i suoi assassini alla giustizia. Datemi in mano qualcosa di più concreto e procederò”.
Umberto:-“ Ne ha parlato con Tommaso Buscetta?”
Caponnetto: -“Certo, gli ho chiesto di dirmi, da uomo a uomo, se Badalamenti fosse responsabile del delitto e mi ha detto di no”
Umberto: -“Certo. Egli sta usando lo stato per fare le sue vendette. Figuratevi se metteva nei guai il suo amico Tano.”
Felicia: -“Sicuro, sono compari. Bella pasta tutti e due!”
Giovanni: -“Qualcosa c’è di cui, in un primo momento ce n’è sfuggita l’importanza. Racconta tu, mamma.”
Felicia: -“Una sera, era il mese di luglio del ’77, venne a bussare alla porta di casa Vito Palazzolo, detto Varvazzedda, il vice di Badalamenti, che mio figlio chiamava “il ministro degli esteri”, perché andava e veniva dall’America. Chiamò mio marito e gli disse:- “Tano ti vuole parlare”. Luigi tornò da quell’incontro molto turbato e qualche giorno dopo partì per l’America, per andare a trovare i suoi parenti di Los Angeles e di New Orleans. A loro disse:- “Prima che ammazzano mio figlio devono ammazzare me”.
Giovanni: -“Forse era andato a cercare protezione per Peppino. I miei parenti americani sono molto quotati”.
Umberto: -“Questo fatto e l’esperienza della vita della signora Felicia sono raccontati in questo libro, “La mafia in casa mia”, e questo è un dossier, “Notissimi ignoti”, curato da Felicetta e Salvo”.
Gliene offre una copia.
Mi intrometto: -“E’ importante individuare la data in cui Badalamenti è stato “posato”, perché, se è successo, come dice Buscetta, ai primi del ’78, a commettere il delitto potrebbe essere stato suo cugino Nino, in qualità di reggente della famiglia, se invece don Tano è stato posato nella seconda metà dell’anno, non ci sono dubbi che il mandante è lui, perché, come diceva Peppino, “A Mafiopoli non si muove foglia che Tano non voglia”. Io posso testimoniare di averlo visto all’American Bar nel luglio del ’78”.
Caponnetto si alza:
-“Va bene, ragazzi, i nuovi elementi che mi state offrendo sono importanti”.
Abbraccia Felicia: -“Coraggio, signora. Faremo di tutto perché sia fatta giustizia”.
Rimasto solo alza la cornetta, chiama Falcone e gli dà tutto il fascicolo e i due libri:
-“ Leggili, c’è qualche novità. Recati in America al carcere di Fairton per interrogare Badalamenti e spedisci Garofalo a Los Angeles per interrogare i parenti di Impastato”.
Tratto da: ilcompagno.it
Foto © Archivio ANTIMAFIADuemila
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